Io ti ascolto da solo,
mio cuore
Tu che guardi dai vetri
Le rare foglie del cielo la terra toccare
L'ora del giorno è rubata dal sole
Montagne rosse, tre colpi di tosse lontani
E poi scende la sera
Sull'asfalto le voci dei cani
Sotto i lampi di una nuvola nera
Posso strapparti d'amore il vestito
Sono i diavoli padroni delle giornate
Io ti amo da altezze incredibili
Ragazzo vestito di bianco e di arancio
Per guanciale il tuo corpo mi dai
Solo i sogni non muoiono mai
Io ti amo da spazi infiniti
Ragazza vestita di sale e di vento
E ti ascolto da solo,
mio cuore
Questa sera di nuvole nere
Sul guanciale rimane l'amore
Con un sogno di 20 parole
Dire che questa m'è piaciuta è dir poco... "Ragazza vestita di sale e di vento..." ma quanto bella è?!?
RispondiEliminaè lunga ma merita :
RispondiEliminaDue cuscini
Morbida e netta, come può esserlo
una freccia svolata che ci colpisca
e redima il cuore, una visione
stupefatta ed allegra, in questa stanza
abbandonata ora dai corpi, dalle parole,
dai sospiri della notte che è stata
nostra… Ma gli oggetti ricordano, e
i gesti rinvengono a esigerci, a gloriarsi,
a raccontarci in quel che pure noi
non sappiamo, noi non sveliamo…
Cosa sa il mattino della luce in cui
nasce? E da noi, quanto dista la luce?
Due guanciali, sul nostro letto, restano
quasi sottesi, saldati, inclinati a fondersi,
come la grande punta d’una soffice lancia,
in cima al bianco, sensuale maroso
dei lenzuoli, alla felicità di tanto disordine!
Staccati, salutatici noi, restano dunque
e ancora vestigia e braci d’amore, le prove
certe e inoppugnabili d’una assunzione
corporea, d’una fuga tutta stretta in abbraccio.
E che ne sa oggi il cuore di quel lascito
inconscio, di quel tenero abbandono ieri
estenuato in un rito, sfiorito in ardore?
Come chiedere alla nave del viaggio trascorso,
alla vela del mare risalito, o alla penna
del poema che l’attraversò, la chiamò, la
sedusse… Come chiedere a un corpo – a un nome –
della gioia che ebbe, che ridonò ed accolse.
Chiedere al cielo più azzurro dove stanno
le nuvole, o a quel grigiume arioso
ed eccelso, dove alberghi il sereno…
Due cuscini, sul nostro letto, dormono
stretti vicino, notturna residenza regale
di due visi trasfusi, calamitati di baci,
specchiati di calore. E da essi capisco
quanto m’eri vicino, come intrecciata
ti respiravo, freccia di cui ognuno era
un lato, e la punta il Noi, il bacio,
l’orgasmo del sentire. Se al cielo potrò
chiedere dove nascose, incoronò l’azzurro;
alle labbra il corallo, ed al corallo il mare.
Naviga il cuore in porto, e in questo golfo
trasparente siamo in due; una partenza che
somigliò a un ritorno: notte albeggiante,
notte sposa al sole, ostaggi liberatisi,
poi forse naufragati, risvegliati da un sogno.
“Non agitare il mare” dicesti ieri, “ma vivilo
calmo, scrivilo sereno”. Ama l’amore le metafore,
se ne nutre ingordo. Perché sa che il mare
gli assomiglia e lo chiama, ci naviga in sorriso.
Due cuscini le barche, le canoe, avventurose
e diméntiche, in cerca d’una foce, d’un Orinoco,
d’un fiume esotico da risalire prima che giunga
al mare, sposi il suo dolce al sale, corrompa
cioè divulghi il mito, dissacri il suo premio
di sole, tutto celato e arroccato nel buio stanco
della storia, nel talamo spudorato dei cuori.
E restano le piroghe d’un candore infiammato
che ora s’è nascosto, è tornato, è sbarcato
nel mondo… Come poesia cammina nella vita,
si riaddentra, si reclude in cuore. Prosa resta,
e mistero: la sudata purezza d’un letto sfatto.