capita che una sera vai a letto alle undici e mezza sapendo di essere
così stanco da non riuscire nemmeno a stappare l’ultima seducente
bottiglia di salice salentino che hai in frigo e pensando perciò di
crollare di botto e dormire otto ore filate come forse non succede da
troppo.
e crollare crolli.
però ti svegli un’ora dopo. dopo
un’intensissima attività onirica che ti ha spinto nei dedali più
reconditi della tua mente, dove ti risvegli e resti e deambuli scalzo e
inquieto fino all’alba, tra lacrime di confusione e confortanti
tachicardie che ti ricordano che tutto sommato sei vivo.
bon, proverò a scrivere.
magari tutto d’un fiato.
il concetto è il seguente: ognuno ha un tempo per crescere. e non gli
si può mettere fretta. chi sei tu per dire a lei di crescere? chi sono
io per dire a te di crescere? chi sono i miei per dire a me di (non)
crescere? non dipende dagli altri. ci sono persone che a vent’anni
pensano come persone di quaranta e persone che a quaranta pensano come
persone di venti e stiamo cadendo inevitabilmente nel luogo comune che
però è maledettamente vero e insomma l’importante è pensarla un po’
uguale. nel senso, essere allo stesso livello di crescita. per capirsi.
magari amarsi.
ma a volte capita che ci si ami anche senza.
a volte capita invece, nonostante la stessa età mentale, di non
amarsi. di non capirsi.
io...
che adesso ho un mutuo da pagare, che mi prendo mille impegni
anche se so che non li posso mantenere, che ho sempre una parola buona
per gli sconosciuti, cinque minuti per tutti e un’oretta per gli amici
veri, che per fare tutto dovrei avere sei vite e a volte mi chiedo se
forse io non le abbia già, che sono senza carta igienica in casa e con
trenta euro in tasca.
tu....
io penso di esser cresciuto di botto. non so quando sia successo.
forse il
giorno in cui mia madre mi comprò l’ultimo giocattolo, che solo nel momento
in cui scartai capii che non volevo veramente. forse il giorno in cui
realizzai che mia nonna era morta e che tutti, tutti quanti intorno a
me, stavano mentendo per proteggermi, ma dall’intelligenza non si
scappa. e così ci sono cose che a otto anni capivo perfettamente e
nessuno mai me le aveva spiegate. quando lo dico alla gente la gente mi
guarda male. mi guarda male perchè non capisce che non lo dico per
vanto. la gente non capisce che questa intelligenza mi ha fatto
soffrire. non capisce che avrei preferito crescere serenamente scemo, o
perlomeno non così acuto, ché avrei evitato tanti dispiaceri, ed avrei
un cuore perfettamente in salute, non così sporco e provato com’è.
ho
lottato e continuo a lottare per una gloria che non so nemmeno
indossare.
la gente non capisce, o forse non è interessata a capire, che a me questo divertimento annoia, questa bolgia di locali e di gente anche famosa e di alcol e tabacco e chiacchiere più o meno vane ha perso il suo fascino come se non ce lo avesse mai avuto semplicemente nel momento in cui è diventato possibile, sebbene non scontato, perchè è diventato anche un po’ inutile, e la cosa che davvero mi divertirebbe sarebbe starmene a casa mia a giocare a tris con qualcuno che lo faccia per il gusto di potermi insegnare come si vince e come si perde e nel mentre mi racconti cos’ha sognato la scorsa notte e cos’ha fatto due estati fa e poi a una certa mi si addormenti e al mattino si svegli senza fretta di andar via da qualche parte in nome di un lavoro uno studio un’inutilità più importante di me.
- ché già l’amore ai tempi della crisi è una cosa abbastanza impossibile, ché nessuno sembra avere mai tempo di amarsi. se poi lo si spreca mandandolo in direzioni sbagliate, è uno schiaffo alla miseria di chi amare non sa.
però a saperlo dirottare. -
la gente non capisce.
ma tu non sei la gente.
e parli una lingua meravigliosa.
ma tu non sei la gente.
e parli una lingua meravigliosa.
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