quando per un periodo mi trovai a Madrid non era ancora entrata in
vigore la ley antitabaco.
si fumava ovunque, nei ristoranti, nelle
discoteche, negli hotel.
andavo a cena al messicano con i mie unici
tre amici e tra una portata e
loro fumavamo, e lo stereo mandava i cure. parlavamo in spagnolo,
all’inizio non capivo tutto, poi ho imparato.
ce ne stavamo lì a chiacchierare, le ore scorrevano veloci e i margaritas pure, col loro allegro pallore nelle coppe sporcate di sale. un sorso via l’altro e ti pensavo, ti avevo addosso senza sentirti, mi avevi dissetato col tuo sguardo e non capivo come, non capivo più niente.
la verità lo sai qual è? che avevo sete.
amare. brutto vizio.
ce ne stavamo lì a chiacchierare, le ore scorrevano veloci e i margaritas pure, col loro allegro pallore nelle coppe sporcate di sale. un sorso via l’altro e ti pensavo, ti avevo addosso senza sentirti, mi avevi dissetato col tuo sguardo e non capivo come, non capivo più niente.
la verità lo sai qual è? che avevo sete.
amare. brutto vizio.
‘la smetterò, lo giuro, di innamorarmi di ogni carezza’, pensavo,
cercando frattanto di contare quante ne avessi ricevute fin allora e
realizzando di non averne avute mai, quando la sconosciuta del tavolo
alle mie spalle si epifanò alla mia sinistra, e mostrandomi la parte più
innocua della sigaretta, quella che non prende fuoco, pacatamente mi
disse:
‘fumi?’
‘fumi?’
Madrid è per me una città maledetta. un’invadente coscienza che mi
insegna a sbagliare. un sigillo di cera apposto a labbra esauste. ed ha
questa odiosa pretesa di suggellare storie di cui non è all’altezza.
avrò sempre un conto in sospeso con lei.
per questo ci voglio tornare.
avrò sempre un conto in sospeso con lei.
per questo ci voglio tornare.
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