giovedì 14 ottobre 2010


Io ti ascolto da solo,
mio cuore

Tu che guardi dai vetri
Le rare foglie del cielo la terra toccare

L'ora del giorno è rubata dal sole
Montagne rosse, tre colpi di tosse lontani

E poi scende la sera
Sull'asfalto le voci dei cani
Sotto i lampi di una nuvola nera

Posso strapparti d'amore il vestito

Sono i diavoli padroni delle giornate
Io ti amo da altezze incredibili

Ragazzo vestito di bianco e di arancio
Per guanciale il tuo corpo mi dai
Solo i sogni non muoiono mai

Io ti amo da spazi infiniti
Ragazza vestita di sale e di vento

E ti ascolto da solo,
mio cuore

Questa sera di nuvole nere

Sul guanciale rimane l'amore
Con un sogno di 20 parole




2 commenti:

  1. Dire che questa m'è piaciuta è dir poco... "Ragazza vestita di sale e di vento..." ma quanto bella è?!?

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  2. è lunga ma merita :

    Due cuscini


    Morbida e netta, come può esserlo
    una freccia svolata che ci colpisca
    e redima il cuore, una visione
    stupefatta ed allegra, in questa stanza
    abbandonata ora dai corpi, dalle parole,
    dai sospiri della notte che è stata
    nostra… Ma gli oggetti ricordano, e
    i gesti rinvengono a esigerci, a gloriarsi,
    a raccontarci in quel che pure noi
    non sappiamo, noi non sveliamo…
    Cosa sa il mattino della luce in cui
    nasce? E da noi, quanto dista la luce?


    Due guanciali, sul nostro letto, restano
    quasi sottesi, saldati, inclinati a fondersi,
    come la grande punta d’una soffice lancia,
    in cima al bianco, sensuale maroso
    dei lenzuoli, alla felicità di tanto disordine!
    Staccati, salutatici noi, restano dunque
    e ancora vestigia e braci d’amore, le prove
    certe e inoppugnabili d’una assunzione
    corporea, d’una fuga tutta stretta in abbraccio.


    E che ne sa oggi il cuore di quel lascito
    inconscio, di quel tenero abbandono ieri
    estenuato in un rito, sfiorito in ardore?
    Come chiedere alla nave del viaggio trascorso,
    alla vela del mare risalito, o alla penna
    del poema che l’attraversò, la chiamò, la
    sedusse… Come chiedere a un corpo – a un nome –
    della gioia che ebbe, che ridonò ed accolse.
    Chiedere al cielo più azzurro dove stanno
    le nuvole, o a quel grigiume arioso
    ed eccelso, dove alberghi il sereno…


    Due cuscini, sul nostro letto, dormono
    stretti vicino, notturna residenza regale
    di due visi trasfusi, calamitati di baci,
    specchiati di calore. E da essi capisco
    quanto m’eri vicino, come intrecciata
    ti respiravo, freccia di cui ognuno era
    un lato, e la punta il Noi, il bacio,
    l’orgasmo del sentire. Se al cielo potrò
    chiedere dove nascose, incoronò l’azzurro;
    alle labbra il corallo, ed al corallo il mare.


    Naviga il cuore in porto, e in questo golfo
    trasparente siamo in due; una partenza che
    somigliò a un ritorno: notte albeggiante,
    notte sposa al sole, ostaggi liberatisi,
    poi forse naufragati, risvegliati da un sogno.
    “Non agitare il mare” dicesti ieri, “ma vivilo
    calmo, scrivilo sereno”. Ama l’amore le metafore,
    se ne nutre ingordo. Perché sa che il mare
    gli assomiglia e lo chiama, ci naviga in sorriso.


    Due cuscini le barche, le canoe, avventurose
    e diméntiche, in cerca d’una foce, d’un Orinoco,
    d’un fiume esotico da risalire prima che giunga
    al mare, sposi il suo dolce al sale, corrompa
    cioè divulghi il mito, dissacri il suo premio
    di sole, tutto celato e arroccato nel buio stanco
    della storia, nel talamo spudorato dei cuori.
    E restano le piroghe d’un candore infiammato
    che ora s’è nascosto, è tornato, è sbarcato
    nel mondo… Come poesia cammina nella vita,
    si riaddentra, si reclude in cuore. Prosa resta,
    e mistero: la sudata purezza d’un letto sfatto.

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