lunedì 31 marzo 2014



e poi succede che un giorno, per caso, ti ritrovi a stringere la mano ad una persona che, noti da subito, ti entrerà dentro in punta di piedi.
una persona che in fondo non farà niente di particolare per te, in termini oggettivi, ma porterà la sua vita dentro la tua, e le farà reagire.
una persona che si affanna a cercare una logica all’irrazionale, e non sa che in quell’irrazionalità ti ha già svelato tutto il suo essere.
una persona che prova a spiegarti perchè ha disegnato un sipario, e non sa di aver disegnato sè stessa.

 
e questo ti scuote.
perchè è l’ennesimo segno che qualcuno oltre il cielo si diverte a mandarti.
perchè, raccolti tutti insieme, quei segni bruciano sui palmi delle mani.
perchè ti accorgi che per un attimo, un solo, lunghissimo attimo, hai perso di vista l’essenziale.
e temi di non poter tornare indietro a raccoglierlo, di dovertelo lasciare alle spalle. temi di averlo perduto per sempre.

 
il destino è spesso una comoda giustificazione per illuderci che tutto quanto accade non dipende da noi, ma da una forza misteriosa capace di trasformare i sogni in realtà e le nostre azioni in un fallimento.
e ti vien voglia di sfidarlo, sto destino, se esiste davvero. ti vien voglia di dimostrargli che tu sei più forte. di affrontarlo. di umiliarlo, quasi. come il nemico più temibile e, una volta sconfitto, motivo di vanto.
 
non basta chiedersi che sapore abbia la vittoria. bisogna assaggiarla.
 
sguaino la sciabola.
[ lo giuro . ]

domenica 30 marzo 2014



ho voglia di una sera piovosa di fine novembre. 
un giorno infrasettimanale, che il giorno dopo ci si sveglia presto e ci si butta nel traffico con la solita fretta. 
ho voglia di un cappotto
ho voglia di entrare nella tua macchina, sentire il tuo profumo, lasciarla accarezzarmi le narici, solleticarmi i sensi. lasciarla convincermi che sei lì, accanto. ti chiederò "dove andiamo?" e tu mi dirai "in un posto carino…", e mi racconterai del tuo lavoro e dei tuoi progetti, ed io ti dirò "io a pomeriggio ho dipinto, e poi son andato a fare la spesa in bici." . parcheggerai tranquilla, pigierai il pollice sul tasto del telecomando, le quattro frecce accese ti segnaleranno al’unisono che hai chiuso portiere e specchietti. entreremo in questo locale coi tavoli neri e le luci soffuse, con questa splendida orchestra che suona dal vivo, accarezzando gli strumenti come fossero donne. e la musica jazz cullerà i nostri discorsi.
mangeremo ottimo cibo, e lo accompagneremo con del vino rosso. e brinderemo a noi.
usciremo da lì sorridenti. fumeremo una marlboro rossa, forse. passeggeremo nella piazza deserta, le luci accese e le finestre spente.
poi mi accompagnerai a casa. troverai parcheggio troppo lontano dal mio portone, così scenderai insieme a me. guarderai attentamente il mio cappotto, 
mi bacerai e mi diari "buonanotte", col tono di voce più basso che puoi. ed io mi sentirò protetto. importante, almeno per te. e mi addormenterò felice, scrivendoti un sms sotto le coperte che profumano di sapone di marsiglia.
ma per godere di tutto questo, dovremo aspettare novembre.

sabato 29 marzo 2014



Ora l'ombra della sera
non mi inganna più
si svela semplice
il mio destino
il mio cammino


Lascio che la sera passi
lenta su di me


Avverto il mio limite
mi sento instabile
mi lascio vincere


Certe maschere
ti circondano
e si dissolvono
poco prima dell'alba
Certe maschere
ti confondono
e ti rinchiudono
alla fine del giorno

Sfioro il buio tra le stelle
e la felicità
Tutto si illumina
il mio destino
il mio cammino


Certe maschere
ti circondano
e si dissolvono
poco prima dell'alba 


Certe maschere
ti confondono
e ti rinchiudono
alla fine del giorno

Per rinascere
mi confonderò
e mi ritroverò
nel silenzio dell'alba 


E per rinascere
mi allontanerò
e mi ritroverò
alla fine del giorno


Lascio che la sera passi
lenta su di me

venerdì 28 marzo 2014





le cose incomprensibili
le cose che non sei
le cose irraggiungibili
le cose che non hai
un fiore in una scatola
non prende aria mai
corrode fino a polvere
si arrende al buio
 

Quello che non hai
mai osato chiedere
che non hai avuto mai
quello che non hai
mai provato a perdere
che non hai lasciato mai

Cose incomprensibili
le cose che tu fai 


non vuoi sentirti fragile
non vuoi sentirti mai 


ma se rimani immobile
un fiore resterai
rinchiusa in una scatola
arresa al buio


Ti ho visto da sola combattere
e sono rimasto a guardare
che l'evoluzione è una regola
ma è dura da rispettare 


davanti alle porte del buio che
ti fanno sentire cieco
ti fidi soltanto e solo di te 


ti fidi del tuo pensiero


Quello che non hai
mai osato chiedere


che non hai avuto mai 


quello che non hai
mai provato a perdere







giovedì 27 marzo 2014




[E’ meno grave perdere che perdersi]

(Romain Gary) 








Sventoleremo le nostre radiografie per non fraintenderci
ci disegneremo addosso dei giubbotti antiproiettile
costruiremo dei monumenti assurdi 
e vieni a vedere l'avanzata dei deserti
tutte le sere a bere
per struccarti useranno delle nuvole cariche di piogge
vedrai che scopriremo delle altre Americhe io e te 

che licenzieranno altra gente dal call center
che ci fregano sempre

Cara catastrofe,
le impronte digitali e di notte le pattuglie
che inseguono le falene
e le comete come te
tra le lettere d'amore scritte a computer
che poi ci metteremo a tremare come la California, amore, nelle nostre camere separate
a inchiodare le stelle
a dichiarare guerre
a scrivere sui muri che mi pensi raramente 

E per struccarti useranno delle nuvole cariche di piogge
adesso che sei forte 

che se piangi ti si arrugginiscono le guance
e per struccarti useranno delle nuvole cariche di piogge
adesso che sei forte 

che se piangi ti si arrugginiscono le guance 


mercoledì 26 marzo 2014






[Ma la via cambia idea e cambia le intenzioni
e mai nessuno sa come fa]










C'era pieno di gente che esaminava il cielo
avevano sogni brevi in bianco e nero.

La tua casa l'ho rivista era un lampo bianco sporco
vista dal treno le ricostruzioni storiche erano con scarpe
di cemento sul fondo del tempo.

L'amore si muove secondo un meccanismo simile
a quello del mare, strana questa cosa che respiriamo
e poi smettiamo di respirare.

Fanno la danza degli acquazzoni 
Hanno sogni lunghissimi e a colori 
toccandosiil posto convenzionale dei cuori.
L'amore si muove secondo un meccanismo simile
a quello del mare, strana questa cosa che respiriamo
e poi smettiamo di respirare.

Strana anche l'intimità nell'età della tecnica
tre generazioni impreparate alla povertà.
Strane le economie emergenti, i miei divari interni,
strani i bancomat sfondati e i flussi migratori infiniti.
Strani i corsi serali, il peso dei desideri e sentirsi forti
nei corridoi degli ospedali. 

Strano questo cielo chiaro e le gradinate dello stadio
che si riempiono piano piano. 

Strane stragi in medioriente, riunioni di terroristi,
riunioni di dirigenti,
strane discussioni politiche costanti
e il rapido declino dei calciatori e dell'occidente.
Strano esultare quando la corsa scompare,
strane vite moderne con risorse limitate,
voglie sconfinate, necessità infinite. 

Strane ancora a casa mia le cose tue
sapessi com'è stato sentirsi innamorati
sapessi com'è stato strano sentirsi innamorati 




martedì 25 marzo 2014



Il mondo non ti merita
non ti capisce
ma il ruolo della vittima
ti ferisce
da sempre la politica
non ti capisce
ma ti rapisce un comico.
In quello che ti scarichi
c'è chi ti capisce
nella tua vita, al cinema
dentro alle strisce

Però ci sono giorni che
chi ti capisce
ti senti preso in giro
da chi capisce
ti senti solo un numero
su una carta di credito.
E allora non c'è proprio
chi ti capisce
e la tua storia nuova
ti tradisce
e le tue cause nobili
son come sabbie mobili

Sempre in attesa di un'aria diversa
spalanca la finestra,
essere foglia che il vento attraversa,
senza nemmeno farlo apposta.

Se non mi piace scappo 

se non mi sembra adatto
faccio saltare il tappo. 


Sei la ragione e il torto - chiticapisce
sei un muro e sei una porta - chiticapisce
sei il giudice e la colpa - chiticapisce
se il mondo non ti ascolta - non ti capisce.


Sempre in attesa di un'aria diversa
spalanca la finestra,
essere foglia che il vento attraversa,
senza nemmeno farlo apposta. 







più di due mesi dall’ultimo post. un lungo silenzio di riflessione. un lungo ascolto di comprensione.


dò da bere un po’ d’inchiostro ai miei pensieri di cristallo. si riempiono solo a metà.

il sole avvolge e scalda ancora questi giorni di un marzo impegnato per finta.

stanco per finta. in realtà, cosa c’entra? ci vorrebbe il grigio di un cielo. un po’ di pioggia. un respiro.

vuoto. mancanze. nostalgie. [illeggittime.]


sei una splendida menzogna.

amami tanto. io adesso cercherò di smettere.

oppure scegli un pretesto.

e non tornare.



lunedì 24 marzo 2014



quando avevo dodici anni, una domenica, i miei mi portarono al mare. 
era bello, turistico, poco distante dalla città. 

c’era il mare, e c’erano un sacco di ristoranti di pesce, ma a me piaceva l’odore del porto. la puzza di legno bagnato e di pesce.

e c’era una piazzetta, che dava sul mare, dove la domenica si mettevano i giostrai. ci passavamo distrattamente, a volte ci fermavamo per sederci sulle panchine. le giostre erano sempre accese. giravano, lente lente, con luci, suoni e le sigle dei cartoni animati. quella domenica, però, le guardai con più attenzione. e non so bene cosa mi prese, ma a un certo punto, dopo un lungo silenzio, dissi: ‘papà, voglio andare sulle giostre.’


‘non essere ridicolo’, mi disse, ‘sei grande’ e riprese a camminare.
‘no, no’, mi fermai, ‘dai’ insistei. ‘ti prego.’


con un broncio scettico mi diede duemila lire, e io comprai il gettone. scelsi le macchine. quelle peg perego fissate a una piattaforma rotonda che gira. salii tranquillissimo. 


la giostra cominciò a funzionare. il mio sorriso si spalancò come i balconi che davano sul mare, non più una timida finestra di paese ma un autentico varco di aria e di luce – quanta luce avevo in bocca. provavo improvvisamente una gioia incontenibile. la sfogai iniziando a schiamazzare, perché potessi sentirla e goderne a piene mani.

era grottesco. i bambini più piccoli, piazzati sulle giostre dai genitori desiderosi di sgranchirsi le braccia, se ne stavano zitti e muti come bambole. e io, che per le giostre ero troppo alto, mi divertivo da matti. urlavo, strepitavo, ridevo, cantavo. la gente si fermava a guardarmi, ma non mi interessava. non mi importava sapere cosa stessero pensando di me, e qualunque cosa stessero pensando avevano torto.


la giostra si muoveva, e a un certo punto era come se qualcosa si stesse muovendo anche dentro di me. la consapevolezza che la mia vita sarebbe stata tutta così: una giostra. sempre. che il mio sarebbe stato un costante, mai monotono, meraviglioso andare, intorno a qualcosa di ben saldo, e che avrei trovato piaceri immensi in cose piccolissime. ridicole.


quando il giro finì, nell’imbarazzo dei miei, li raggiunsi. ci incamminammo di nuovo. loro perplessi per il mio atteggiamento inspiegabile

 – leggeva e scriveva a tre anni, è così adulto, come le sarà venuto in mente?. ed io sorridente, sereno, con la soddisfazione di chi ha capito qualcosa di fondamentale. 

il codice del mio avvenire.