mercoledì 31 luglio 2013



‘addormentati, bambina, sogna
con la mia lingua di straccio
che ti intrappola e ti scardina
che vendica il tuo importo
per farti crescere.
ormai non voglio messaggeri,
ma direttamente giocare…
vieni a farlo con me.’
vieni a farlo con me.
la resa. di chi?'
 
 
 
 

martedì 30 luglio 2013





perché preferiamo una persona ad un’altra? 
perché ci dilunghiamo nei discorsi, facciamo ritardi, perdiamo tempo? 
e quale tempo è mai davvero perso? 

perché ci innamoriamo di una canzone 
e ci commuoviamo davanti a un film? 
quanto c’è di detto nel non detto? 
quanto di non detto nel detto? 
quanto pesa un desiderio? 
quanto costa realizzarlo? 
quand’è che siamo soli veramente? 

cosa significa scegliersi? 
cosa significa ritrovarsi? 
esistono in natura due percorsi perfettamente paralleli? 
 esiste qualcosa che sia davvero inutile?

perché chiediamo per favore e ringraziamo?
 perché confezioniamo i regali? 
perché ci svuotiamo le tasche di spiccioli in mano ai mendicanti? 
cosa ci spinge a sorridere agli sconosciuti sui mezzi pubblici?

cosa c’è di invisibile
 mentre la gente cammina distratta





lunedì 29 luglio 2013





ho una luce soffusa, 
una porta socchiusa,
 una pioggia che si lascia cadere imperterrita fuori, 
nessuno al mio fianco, un bicchiere di rosso e Mina in sordina.

e stanotte va bene così.




domenica 28 luglio 2013



se Laura avesse amato Petrarca, lui non sarebbe mai rimasto folgorato dai suoi capei d’oro. se Silvia dalla sua finestra avesse dedicato un canto ed uno sguardo in più a Leopardi, non sarebbe mai stata il fulcro della sua poesia. se Beatrice si fosse accorta di Dante, non sarebbe mai diventata la protagonista del suo Paradiso.
il vero amore non vuole avere. vuole soltanto amare.

hai mai visto un cacciatore inseguire bestie che ha già impagliate in salotto? sarebbe superfluo. l’uomo, naturalmente, insegue solo ciò che gli sfugge. in uno dei miei bui ho pensato a te, a lui, agli altri. mi son guardata indietro. e mi sono accorta di non saper distinguere amore e desiderio. io amo solo ciò che desidero. il resto lo apprezzo. e basta. gradisco quello che ho, e ci convivo bene, ma non ne godo, perché bramo altro. perché sono abituato ad amare solo quello che non ho (la certezza di avere). quello che possiedo, non lo amo. finchè non ho paura di perderlo, io non lo amo.

allora è questo tutto quello che so fare? avvilupparmi nella tristezza delle mie tenaci sconfitte? adagiarmi nella vanagloria delle mie affollate solitudini? lustrare tristemente i trofei dei miei mancati avere? lasciarmi sanguinare per godere del mio dolore? privarmi di te per educarmi ad amarti?

folle, sì. ma la passione trova in se stessa la propria giustificazione.
se fosse stato facile tenerti accanto a me, non sarei mai arrivato a piangere desiderando una tua carezza.

non so se voglio averti. ma so che voglio amarti.


sabato 27 luglio 2013



sarebbe splendido andare a letto a mezzanotte, 
con una tazza di latte freddo e un film da guardare. 
da solo. 
al buio. 
in silenzio.

invece i miei deliri non vanno a dormire, e strillano, e mi tengono sveglio intessendo paranoie come ragnatele e appostandosi sul bordo del tempo, lasciando che io li guardi guardarmi. in attesa che mi divorino.

perchè i miei deliri un giorno mi divoreranno. non sarà domani, non sarà tra un mese, sarà tra un anno o forse più, ma tutto ciò che riesce a contenere la mia mente imploderà di colpo un giorno o l’altro. all’improvviso.
ed io non sarò altro che un involucro vacante.

forse questo è il post più veloce che abbia mai scritto.
on air: ‘one’, shapeshifters. e paura d’impazzire.


venerdì 26 luglio 2013





bisogna inchinarsi alla vita.

forse non tutti sanno che il cantante Gino Paoli, classe 1934, dal 1963 vive con un proiettile incapsulato nel pericardio. andò così: era il 13 luglio. la moglie era partita. lui era da solo in casa. ebbe una crisi dovuta a difficoltà economiche e sentimentali. così, un giorno, prese la pistola e si sparò. dritto al cuore. il proiettile bucò il cuore e si conficcò nel pericardio. e là rimase. lui ne parla così: ‘ogni suicidio è diverso, e privato. è l’unico modo per scegliere: perché le cose cruciali della vita, l’amore e la morte, non si scelgono. tu non scegli di nascere, né di amare, né di morire. il suicidio è l’unico, arrogante modo dato all’uomo per decidere di sé. ma io sono la dimostrazione che neppure così si riesce a decidere davvero.’
per mille e uno motivi vale la pena vivere. per mille e uno motivi vale la pena morire. c’è chi sceglie di lasciarsi trascinare dalle correnti del tempo che avido gli soffia addosso, e chi quel vento proprio non lo riesce a sopportare, e si ribella. ma non c’è una terza via. non c’è un grigio, non c’è un centro, non c’è un forse. c’è solo il bianco e il nero, il dentro o il fuori, il sempre o il mai. c’è una linea nel mezzo, e te che scegli da che parte stare. la cosa straordinaria è che alle volte neanche lo scegli te.
stanotte, che ancora una volta il tuo ricordo viene a bussare, penso a te. penso alla vita. e penso che tutto sommato sei stata fortunata, ché almeno a te t’ha lasciato scegliere.

aveva ragione Ungaretti. la vera morte si sconta vivendo.
alla vita bisogna proprio inchinarsi. e rassegnarsi a viverla.


giovedì 25 luglio 2013



io lo so che tu non ti rendi conto di quanto conti. 
come un Mosè guardi me, il tuo diligente Michelangelo. silente. i
mmobile godi della vita che ti ho dato, e non mi parli. 
ignara vivi la tua vita. ignori il mio tenerti, come un documento, ché senza so chi sono ma non ne ho le prove.
 perchè tu sei i miei tratti fondamentali, i miei segni particolari, la mia professione -principale occupazione-. il posto da cui vengo, e quello in cui andrò. il mio cognome.

lo so che non ti rassegnerai mai alla più spaventosa delle verità: il nostro appartenerci.

ma tu sei la mia idea di tenerezza. ed io ho scelto te. a prescindere da me. ho scelto di tenerti. per tutti i giorni che mi son rimasti. ho scelto di starti accanto. costi quel che costi. perchè resistere al dolore è una forma di vita assai distratta. e preferisco sanguinare nella tua tiepida ombra che splendere al gelo di un sole che non sia tu. tu che ne sei all’altezza. tu che sei la mia ragione.

chi ha un perchè per vivere 
può sopportare tutti i come.




mercoledì 24 luglio 2013



A. una persona che ama troppo.
B. una persona che ama troppo poco.
C. (G?) una persona che ama. punto. (finalmente.)

Roma. una città troppo viva.
Lecce. una città troppo morta.
Madrid. (Milano?) in medio stat virtus.

l’odore di foglie secche fresche bagnate mi riempie le narici mi sveglia mi rigenera dopo il viaggio mi fa sentire felice di essere tornato a questa casa, a questa chiosa, al mio studio, al mio arredamento nero, allo chat noir sulla parete, alle mie noie, alle mie paranoie, ai miei film, a me stesso. è confortante ripiombare qui. con me. dentro me. (chiuso a chiave.)
mettere ordine.
‘ti aspetterò’ non promettere amore non lo fare anche tu i marinai promettono di tornare e poi non tornano mai più e le loro mogli aspettano e intessono decenni di ricordi.
‘per me la soluzione è a senso unico.’ non avevo dubbi. la tua vita la tua famiglia la tua voce da anestesista le tue mani da anestesista le mie labbra di avvocato non parlare amore non parlare qualunque cosa dirai potrà essere usata contro di te.
‘écoute’. non c’è niente da ascoltare niente di niente amore solo parole da non dire speranze da non seminare ruoli da non confondere dubbi da non alimentare perché non sopporto l’idea che tu sia più fragile di me.
eppure continuo a credere che dev’esserci un posto nel mondo dove sia possibile amarci.

è davvero un errore venirti a cercare?




martedì 23 luglio 2013




succede sempre così.
vedo un libro su uno scaffale, non mi dice niente, ce lo lascio. poi torno indietro e lo ripiglio. poi magari lo rilascio, e dopo lo riprendo. 

alla fine di un lungo tira e molla, mi convinco e lo compro. lo metto lì, nel mio studio, sullo scaffale, insieme a tutti gli altri, e lo lascio aspettare di essere scelto.

quello di cui non mi rendo conto è che in realtà sono io che sto aspettando, e che è lui che sceglie il momento giusto per essere letto. un giorno qualunque, ma un giorno giusto, per suscitare in me quella improvvisa voglia di leggerlo. perchè i libri sono specchi cartacei, e scelgono loro quando fartici guardare.
stasera, per sollevare un po’ il Mac mentre  parlavo in skype, ci ho messo sotto tre libri. dal basso verso l’alto: "educazione Siberiana’, di Lilin ; ‘Ulisse’ di Joyce; e per ultimo, in cima, ‘la solitudine dei numeri primi’, di Paolo Giordano. quando ho smontato il piccolo piedistallo, qualcosa m’ha detto di iniziare a leggerlo.
ho finito adesso.

quel libro siamo noi.
‘vicini, ma mai abbastanza per toccarsi davvero.’
ti prego,
vieni a prendermi.
[e di nuovo si fa giorno.]



lunedì 22 luglio 2013



sta per piovere.
ho sentito qualche tuono, e ansioso ho sollevato la persiana. ho messo un braccio fuori dalla finestra, tra le sbarre. ma l’ho tirato dentro asciutto. non pioveva ancora.
mi sono seduto. e ho atteso.

la pioggia serve. lava via lo sporco dai marciapiedi della vita.
sono seduto.  attendo. ho messo a tacere persino la mia amata Edith Piaf. zero volume. me ne sto nel silenzio, a respirare l’aria fredda e ad aspettare di vederla. la pioggia.
e poi l’ho vista.
ed era splendida come sempre.
ed ho sorriso.
piove.
finalmente.



domenica 21 luglio 2013



buonasera.’
‘a te.’
‘come stai?’
‘tutto bene. tu?’
‘anch’io.’

il grado di confidenza che io ho con una persona si misura dalla confidenzialità dell’incipit di un nostro discorso.

le conversazioni tranquille sono il tipo di conversazioni che proprio non riesco a farmi andare a genio. se qualcuno esordisce in questa maniera, sebbene a molti possa sembrare normalissima e anzi l’unica per avviare un dialogo, io mi metto sull’attenti. perchè una persona a cui vuoi veramente bene, un bene folle, io non l’ho mai salutata con un buonasera, neanche per educazione. per scherzo, forse. ma sul serio mai. le persone a cui vuoi un bene folle sono sempre lì, e non ha senso salutarle. perchè è come se non se ne fossero mai andate.
forse l’amore è questo. dirsi ‘buonasera’ quando si torna a casa, baciarsi sulla guancia in pubblico, chiamare il partner per nome non solo quando si fanno discorsi seri e dirsi ‘caro’ e ‘cara’ quando si è a cena fuori con amici, conti in banca separati e conti in tasca tutto il tempo. restare divisi. restare integri. puliti.
forse l’amore è questo. per te.
io continuo a credere che l’amore sia fondersi. farsi a pezzi senza ricomporsi. sporcarsene.
e maltrattarsi.
per questo non riesco a smettere.



sabato 20 luglio 2013



ad esempio, io mi innamoro di ciò che mi sorprende.
oggi è arrivato un temporale stupendo. fortissimo. e, soprattutto, improvviso. è arrivato senza alcun segnale, in un pomeriggio di sole. quando meno ce lo si aspetta. da un momento all’altro, un lampo, un tuono, fulmini lontani, nuvole che si stringono e poi lottano e si feriscono e sanguinano forte, e si amano e si stringono ed eiaculano sul mondo e poi restano lì distese e tacciono e piano s’addormentano.
perchè i fiori sono una pianta così bella da regalare? per analogia, essendo fondamentalmente un organo riproduttivo, quindi simbolo di amore. ma c’è dell’altro. i fiori sono belli perchè sbocciano. e sanno farlo nei luoghi e nei momenti più impensati. non sarebbero così affascinanti se non avessero un segreto da svelare. non sarebbero così belli se restassero chiusi. perchè la vera bellezza è aprirsi. donare profumo e ricevere rugiada. bellezza è comunicazione. e non c’è niente di meraviglioso in un fiore che non sa sbocciare. i fiori secchi si buttano via. solo le persone malinconiche li conservano tra le pagine dei libri.
[nella mia stanza c'è un mazzo di fiori secchi abbandonati su uno scaffale.]
incontrare qualcuno dall’altra parte del mondo, ritrovare in tasca qualcosa che si credeva di aver perso, una vecchia canzone alla radio, i fuochi d’artificio, i colpi di fulmine. tutte queste piccole impavide meraviglie disobbediscono ad ogni dinamica, a qualunque orologio. non c’è modo di disinnescarle. non c’è tempo di scoprire quando scoppieranno. soltanto dopo la deflagrazione ti rendi conto che era una vita che le stavi aspettando.
chiudi gli occhi. immagina di essere in una grande, immensa città. in centro. circondato da luci e mattoni e gente che corre lei solo sa dove. immagina che il freddo ti inibisca le mani e ti congeli il naso. immagina di sentirti ghiacciare fino alle ossa, di alzarti il bavero e stringere le spalle nel cappotto. immagina di avere mille impegni, di non avere tempo, di essere sempre di fretta per qualcosa di cui in fondo non t’importa.
e immagina, in mezzo a tutto questo, di sentire l’urlo di un gabbiano.
questo per me è stato conoscerti.


venerdì 19 luglio 2013


non ce la faccio più.
ascolto Mina, De Gregori, Guccini, Dalla e Venditti, De Andrè e Patty Pravo, e se chiudo gli occhi mi sembra di vederla tutta. tutta insieme. il cielo stellato dalla collina di Superga e il traffico del sabato sera in Gran Madre, la Madonnina tutta illuminata dalla mia finestra e i Navigli pieni di gente, il porto di Napoli sempre affollato, Posillipo, Via Chiaia, Piazza del Plebiscito. e piazza Sant’Oronzo e la maestosa fontana di Piazza Mazzini e il Duomo di Lecce e quell’esplosione di arte barocca e lo sconfinato azzurro del mare del Salento, il mio Salento. e la fontana di Trevi tutta illuminata, e un pomeriggio scendere le scale di piazza di Spagna, e il Colosseo che di sera diventa tutto arancione e sembra un’immensa luna distesa e addormentata.
la sigla di Rai notte, le cinquecento vecchie, le domeniche a guardare il Gran Premio perchè corre la Ferrari, i libri di favole che iniziano tutti con Pinocchio, le frecce tricolore, la pittura rinascimentale, le grandi case di moda, la pasta, la pizza e il gelato, la mozzarella buona, i prosciutti emiliani e i vini siciliani.
promettimi che guarderemo insieme un vecchio film di Rossellini. promettimi che mi porterai a Venezia e a Verona. promettimi che faremo aperitivo a Brera. promettimi che ceneremo a Trastevere una sera. promettimi che un giorno andremo in stazione e prenderemo un treno a caso soltanto per scoprire dove arriva. promettimi un giro in Vespa. promettimi che mi leggerai le poesie di Trilussa e che reciteremo insieme una commedia di Goldoni. promettimi che mi insegnerai tutto quello che sai, che me lo lascerai imparare come una canzone.
promettimi che quando tornerò ti farai amare. sul serio. finalmente.



giovedì 18 luglio 2013



la vita è fatta di ritorni. 
un oggetto che ritrovi, 
una persona che rincontri, 
una città che rivedi.

ho avuto molti mancamenti, in questi  mesi d’estate spassionata, disperata, violenta. triste e felice, 
con massimi sbalzi in minimi tempi. salti mortali sui trapezi del mio umore, e sotto il vuoto di uno spazio pieno ma di sola aria, davanti allo scenario della lingua di terra che mi ha sputato sul mondo.
 il posto in cui mi ostino a voler restare. nonostante tutto. perchè per me è sempre stato più semplice correre sotto le granate che passeggiare sopra le macerie.


quanta vita mi è passata accanto mentre io passavo oltre.
 quante mani avrei potuto stringere, quante labbra avrei potuto baciare, 
quante cose avrei potuto imparare. 
sono vuoti, questi, che non mi perdono facilmente. 
perchè bisogna essere stupidi per disprezzare tanta gratuita cura. ed io lo sono stato.
e molte volte ho pensato che basta, che dovevo farla finita, metterci un punto, e non ne ho avuto la forza. perché so benissimo che non ci sarà mai un punto. certe parentesi restano lì. aperte. 
come le porte della metro di notte.

perciò facciamolo più spesso. prendere un volo e partire. stare tanto tempo insieme, anche in silenzio, anche litigando, anche a costo di odiarci un pochino. organizzare giornate e spostamenti. guardarci e ridere. metterci di fronte a noi stessi. perchè fa bene. fa solo bene.

sono partito dal gate 17. lo stesso dal quale partii la prima volta. sto tornando dal gate c40. aspetto. la mia valigia ha mille profumi, ma il suo aroma più forte è l’essenza di libertà.
è così che a me piace vivere: con l’entusiasmo che ti leviga il viso. la premura di fare. il tempo che ti divora. e la noia che non sai nemmeno cos’è.
il sole si alza, le mie palpebre non cedono ad abbassarsi. non me ne frega niente di dormire. la notte non è che una sfida che la luna ci lancia per sognare da svegli.

 dentro di me sorge una nuova consapevolezza. e ricomincio da qui. mi riposo. e ringrazio Dio, se esiste.
perché i miracoli accadono tutti i giorni, se abbiamo la forza di volerli.
mi ci è voluto un miracolo per innamorarmi di te.
adesso me ne serve un altro per smettere di amarti.



mercoledì 17 luglio 2013



l’amore è una strage.
per questo, ora, nudi,
ci teniamo stretti.
come sopravvissuti.



martedì 16 luglio 2013




a me l’estate sta larga. tutto questo tempo vuoto che non so come riempire. è così libero che non lo sopporto. l’etimologia della parola vacanza: ‘vacans’, vacuo. io soffro di vertigini: il vuoto mi dà nausea. e mi spaventa. sarà che per navigare, ne sono convinto, serve sempre una rotta. evidentemente, anche a star fermi si ha bisogno di un’àncora
.
sono prigioniero di un’ottica tale per cui tutto ciò che è libero è inutile. mi sdraio al sole cosparso di olio alle mandorle, passano cinque minuti e mi dico ‘che fare?’. il caldo mi scioglie i buoni propositi. affievolisce il mio già scarso entusiasmo. non c’è niente, nella calura estiva, che susciti in me un interesse tale da portarmi a vincerla.

tutto quello che salvo dell’estate è l’odore del mare. ti accarezza le narici come una promessa. un marinaio che ti giura libertà e poi mica te la mostra. che ti dice ‘so dov’è il tesoro’, e poi ingoia la mappa.
c’è odore di mare persino in aeroporto. mica come quello di carburante che mi accoglierà. l’odore risoluto e confortante delle mie catene.
alzo gli occhi. il paesaggio è un pugno nell’occhio. così duro da accecare. una distesa di cemento. la gente brulica per strada, corso buenos aires affollato per i saldi, la borghesia che pullula, tutti in lizza per l’occasione, spendi compra e non pensare. il cielo di un azzurro stanco, un enorme sbadiglio di fronte a uno spettacolo già visto. i blu del salento, strascichi elegiaci, drappeggiano già dietro la mia schiena. il traffico un lunghissimo serpente di lamiere. e io sono solo una squama.
è questa l’illusione che regalano le grandi città: ti fanno credere di essere protagonista, attore, parte fondamentale, quando invece non sei altro che comparsa, dipendente di un alveare, l’ennesimo mattone nel muro del rumore.
tu pensi di giocare. la verità è che il gioco sei tu.

una vampata di nostalgia. la mia mamma che sta sveglia per controllare che io dorma, , i colpi di tosse del mio papà e il mio prontamente ‘non fumare’, la mia compagna di spiaggia che mi invita a non scappare e a godere del tempo e del mare. il mio amico. il primo che ho visto e l’ultimo che ho salutato. che quando mi abbraccia mi stringe forte e respira a fondo, e io invece non respiro più. perché ci sono cose così larghe da lasciare senza fiato. come l’estate.

ma a me l’estate sta larga. preferisco settembre. e se c’è una cosa che mi sta cucita addosso è la sua sagoma. quella sensazione di nuovo, quell’odore di carta, quel vecchio caro entusiasmo di ricominciare. le mille cose da fare, le sciarpe di cotone, addormentarmi stanco la sera e svegliarmi dentro te nel grigio di un mattino che chi se ne frega. qui dentro ci siamo noi, così, senza colore.
e la mia casa è il tuo petto.




domenica 14 luglio 2013




c’è un incantesimo dal quale io non mi riesco a separare. 
si chiama musica.

non mi troverete mai senza una canzone in bocca, 
senza un ritmo nelle gambe, 
senza un battito nei piedi, 
senza una melodia nel cuore.

tutto, intorno a me, 
rispetta un ordine perfetto, 

in quattro quarti, che non a caso formano un intero, 

perchè la musica completa.

la musica salva. 
la musica unisce. 
la musica perdona. 
perdona tutti.

la musica è tutto ciò che abbiamo. 
come faremmo a sognare senza?


sabato 13 luglio 2013



ordine. c’è ordine adesso nella mia testa. 
il mio studio è quadrato ma non pulito. 
ogni cosa al suo posto a prendere polvere come un ricordo. 
‘mettere la polvere sotto il tappeto non significa pulire casa’. 
marta sui tubi. la spesa.

che fretta avevi di andartene non me l’hai detto. forse che scotto, forse che nuoccio, forse che troppo bene ti faccio. forse che al bene uno non ci è abituato e quando arriva tutto insieme scappa. per paura d’esser travolto. di restare lì. sull’asfalto.

forse che le mie mani non hanno mai saputo toccarti. forse che i fiori troppo rari anche se appassiranno vanno colti.
tacita. è una sconfitta tacita quella di chi si sacrifica senza esser martire. ma qui non ci sono eroi. vince solo chi si salva.
e allora
vattene. adesso devi andartene. devi portarti via quegli occhi e quel sorriso sterile. devi togliere quel sorriso dalla strada e lasciar passare la mia malinconia. devi andare via.

devo darmi tutto il tempo che mi sono tolto. 
devo scagliare tutte le pietre che mi son tenuto in tasca.
 girare sottosopra la tua fotografia. tranquillizzarmi in questa frenesia.

 accarezzarmi i capelli prima di dormire, come sognavo avresti fatto tu.
sei un problema irrisolto. un vuotissimo albergo. un nodo mai sciolto. una divisione col resto. il punto e l’a capo. il mancato traguardo. lo ieri che si ripete ogni giorno. sei il rimorso e il rimpianto. il danno e la beffa. la capra e la panca. la corsa e lo schianto. svegliarmi già stanco. il sigaro e il cancro. il dio e la bestemmia. la lancetta e il ritardo. la mano e il cursore. la fiamma e il vapore. la raucedine, l’urlo, lo zenzero. il farmaco e la controindicazione. il mercurocromo e il bruciore. la musica d’attesa e una voce all’improvviso. un paio di scarpette ma pendente a un chiodo, appeso. sei una savana senza belve. un fucile carico ma a salve. sei il mio esausto campo di battaglia, il sonnifero che mi tiene sveglia, il sale nel caffé quando è già in gola, l’indigestione a pancia vuota, la sbronza allucinante, la mattina seguente, le istruzioni per l’uso sul fondo della pattumiera. la scritta ‘game over’ e la prossima moneta. 

sei l’apocalisse più pacifica in mezzo alla quale io mi sia mai trascinato.


fottiti.
ma prima, abbracciami.




venerdì 12 luglio 2013




4.08 del mattino, 
dice questo nuovo enorme mac con una tastiera sottile sottile che io non so usare. 

sono nella mia stanza, nel mio posto, vicino all'altrove immaginario. 
le casse cantano. Maria Callas, Casta diva. 
profumo di caffè. alla mia destra una tazzina piena, 
a sinistra un pacchetto di simpatiche caramelle che alla menta. 
ai miei piedi si sta strusciando la mia cagnolina

di fronte a me, 

oltre lo schermo immenso, 
il silenzio. 
sbadiglio. mi stiracchio. poi distendo le labbra. e sorrido.

fuori sembra che piove. ma non piove
io son felice.

e lo so che è una parola grossa,

pero stamattina è proprio l’unica che c’ho.







giovedì 11 luglio 2013




io di fiducia e di pazienza ne ho un sacco. un sacco e una sporta. faccio ciò che riesco a fare, dò quello che riesco a dare. so perdonare. non sono egoista coi sentimenti. a dire il vero non lo sono con niente. condivido tutto, e volentieri, con chi mi sta accanto. sono poche le volte in cui sento il bisogno di avere qualcosa di unicamente mio, a parte il dolore.
e mi rimprovero continuamente di non sapermi liberare delle cose inutili. conservo di tutto. poi, un giorno, decido di fare pulizie. e butto via tutto. tutto insieme.
e quel giorno è oggi.

sapevo che conoscerti sarebbe stata, in qualche modo, la chiave di volta. per questo tratti non volevo farlo. non fino in fondo. la valigia nell'anima l’ho fatta all’ultimo, il pomeriggio prima di incontrati. e mentre mi avviavo  un ora prima pensavo che quel mio essere in anticipo non aveva senso, ché lo facevo per premura di rispettare una tabella di marcia e per rispetto di Te
.  ed era strano, come sensazione. sentivo di doverci andare, anche se non volevo. sentivo di dovermi cambiare, anche se non ero pronto.

non è mai stato il momento di chiedersi se si è pronti per qualcosa, qui da me. perché quel qualcosa non ha fatto in tempo neanche ad avvisarmi, ed era lì, di fronte a me.
come te.

quand’è stata l’ultima volta che qualcuno ha avuto il coraggio di prendermi il viso tra le mani? quando l’ultima volta che qualcuno mi ha chiesto sinceramente scusa? quando l’ultima in cui qualcuno mi ha detto un piccolo segreto che aspettava di dirmi da anni? quando per qualcuno sono stato più importante del suo orgoglio?

se penso alle mie ultime volte, mi vengono in mente l’ultima volta che ho visto mio padre, l’ultima volta che ho sprecato un’occasione, l’ultima volta che sono caduto, l’ultima volta che qualcuno mi ha abbandonato.
è meno immediato che io mi sovvenga dell’ultima volta che qualcuno ha cucinato per me, di quella in cui qualcuno si è ubriacato con me, di quella in cui qualcuno mi ha fatto una carezza sincera, che mi ha afferrato quando stavo per cadere, che mi ha aspettato entrare nel portone di casa. sono cose, queste, di cui fondalmente non ho un gran bisogno, ma una gran nostalgia, quella sì. allora quando me le son ritrovate davanti così, gratuitamente, ho pensato che forse un pochino me le meritavo.

e allora perchè non mi succedono mai?

io penso di aver raggiunto un limite. penso che la fiducia e la pazienza siano finite. non so quale delle due prima e quale dopo, so solo che ora il serbatoio è vuoto, il cielo è terso, il mare è calmo e io devo nuotare.
per cui, mi devo liberare di tutte le zavorre che appesantiscono il volo, il nuoto, il mio cammino. di tutte le cose che non mi servono. di tutte le persone che non mi amano.
in fondo, per camminare, non ho bisogno di molto altro che non sia me stesso.
la paura è che sia finito anche l’amore. che, a furia di darne alle persone sbagliate, io ne sia rimasta senza per quelle che ne meritano davvero.
come te.

quand’è stata l’ultima volta che ho fatto qualcosa per la prima volta?




mercoledì 10 luglio 2013



‘dormi?’
si girò sulla schiena, abbandonando il fianco.
‘mmm… no, dimmi.’
‘non riuscivo a dormire.’
‘a cosa pensi?’
‘a noi.’
sorrise nel buio.
‘perché non ci siamo incontrati prima?’
‘perché eravamo troppo impegnati a cercare qualcos’altro.’
‘dell’alcool?’
‘ahahahahaha… stupido!’
‘ma adesso siamo insieme.’
‘sì, siamo insieme.’
un sospiro soffocato dal lenzuolo.
‘buonanotte, amore.’
‘buonanotte.’


si addormentò così, riempita e circondata da quella definizione. insieme. da quanto tempo non stava insieme ad una persona? da quanto tempo non aveva una persona con cui stare insieme? una di quelle con cui pianifichi, progetti, esci, parli, ridi, fai l’amore, ridipingi casa, decidi cosa mangiare per cena e dove andare dopo.
insieme.

si addormentò così.


poi, di nuovo, il cellulare vibrò.

‘buongiorno, amore.’




martedì 9 luglio 2013



è successo questa notte. 
nel mio studio, 
chino sul di un libro. 

e a un certo punto sono entrate. dalla finestra, 
dagli spifferi che ogni sera maledico, 
da quelle odiose fessure sono entrate due voci. 
due donne con un accento meridionale che si parlavano da un balcone all’altro.

per un secondo mi sono sentito a Napoli, 
quella meravigliosa e disgraziata Napoli 
che non vedo da un anno e che non vedo l’ora di vedere, 
che mi ha cresciuto standosene nell’ombra del suo nome, 
dove i panni si stendono ancora in balcone anche se poi prendono l’odore del soffritto della dirimpettaia, perchè a Napoli il sugo si fa soffritto, con la cipolla, e sui davanzali si tengono il prezzemolo e il basilico, e in casa non mancano mai gli odori, e per le strade non mancano mai i profumi, vivi, veraci, della gente che, anche se non ha mai niente da fare, ferma non ci sa stare.
 la gente che per guadagnare s’inventa di tutto. la gente che, anche se la mafia e lo Stato (insieme?) le tolgono tutto, fuori dai ‘tabaccari’ c’è sempre la fila per giocare la lotteria, perchè è gente che, nonostante tutto, sa ancora sperare.

ho guardato fuori, il cielo nero pece, le foglie secche del giardino. e sarò io, sarà questo maledetto luglio, sarà questo giorno che rende la campagna una perla nera avvolta in un cielo d’ovatta, ma per la prima volta, dopo tutti questi anni, mi sono ritrovato a pensare che ho un difetto: 
spesso divento artificiale.
e per la prima volta, per una volta, è stato come se non mi riguardassi.

ma poi mi sono rimessa a leggere.



lunedì 8 luglio 2013




io vorrei tanto poterti scegliere. 
il problema è che scegliere non si può,

 ché non è un problema di scelta. 
o meglio, a scegliere non sono io.

a scegliere è questo mio maledettissimo cuore, 
che è sempre in balia dei venti 
ma non sa mai da che parte andare, 

che strada prendere. 
e allora ne imbocca una a caso. 


e da un po’, da un bel po’,
 la sbaglia sempre.




domenica 7 luglio 2013



questa è una di quelle notti che mi piacerebbe starmene seduto per terra, 
in balcone, con le gambe tra le sbarre della ringhiera, a penzoloni nel buio, 
nel vuoto. 

guardare il vuoto di sotto di sotto 
e il cielo di sopra,
 e contare gli universi nell’una e nell’altro. 
poi, come un disgraziato, 
rimboccarmi il mio lenzuolo d’acqua. 
e non saperti lontana. perché non ne ho voglia.

non ho voglia di saperti lontana da me. 
non ce l’ho mai avuta. 
ma mi ci son dovuta abituare. 
e ti ringrazio, di cuore, di avermelo imposto.
 lungo le dita mie soltanto colava il succo di quell’amore, 
un pomo proibito assaporato in un angolo buio di Eden.

volevo che il pensiero di me ti capitasse tra le mani, 
come quei libri che cambiano la tua prospettiva delle cose, 
che cadono dagli scaffali per dirti ‘sono qua, come hai fatto a non vedermi?’. ma sapevo che non avresti mai avuto il coraggio di leggermi.

i miei capelli neri sono nastro isolante per pensieri.
i miei pensieri neri coagulano su un foglio.
i fogli si accumulano alle spalle di te che cammini.
dormire sempre meno, sognare sempre più.

ricerco con devozione la mia Gerusalemme 
-una terra santa dove poter lasciare riposare il cuore- 
nonostante nessun dio me l’abbia promessa. 
 ma nel frattempo, ho questa libertà bellissima, profonda e indipendente. 
 una libertà gatta che ogni tanto si fa le unghie sul cuore. 
e tra i miei comandamenti non c’è più il tuo nome.

ignorando il nodo che mi si stringe in gola ogni volta che penso a tutto ciò che ho barattato in cambio di quei tuoi occhi sintetici.

eppure, se ti incontrassi adesso per la prima volta, temo che mi innamorerei lo stesso. di nuovo. disperatamente.
perciò, guai a te se torni.



sabato 6 luglio 2013



"sono rientrato alle sette del mattino. in Viale Umbria sembravano le quattro del pomeriggio. gente, gente dappertutto, che parlava, fumava, rideva, si salutava dicendo ‘a domani’ o addirittura -non a torto- ‘a dopo’. sono entrato silenzioso in casa. avevo sonno ma fretta di fare. mi sono messo a confezionare il mio abito per questa sera. dettagli. ho finito alle dieci e mezza. ho fatto un sorso di caffè. mi sono acceso una sigaretta. e ho iniziato a piangere, composto, silenziosamente, come chi guarda in faccia una fine.
lo scoramento è lo stesso di quel cinque febbraio a Madrid. la colonna sonora è sempre la stessa, quella di quel lunedì mattina a Firenze. affacciato alla tua finestra, coi pensieri che già migravano a sud, sorvolando l’Italia che avremmo spaccato. lascio le note, una ad una, attraversarmi come frecce di fumo. spengo la cicca pigiandola nel posacenere, dapprima con la solita grazia, poi con novella rabbia. ammazzandola. come un’idea malsana. e dandole forma differente da tutte le altre del posacenere, perchè le altre sono illese. la mia è una martire.
il fumo e il pianto insieme non si abbinano. sono due vizi incompatibili, come l’amore e l’amicizia.

l’ultimo frammento di noi se ne va insieme al posto che ci ha partorito. il posto che ha partorito me stesso, te stessa, noi due. quel posto che sembrava eterno come noi due. il Plastic. (anche il coro esce di scena.)
dovessi morire stanotte, seppelliscimi lì, sotto le nostre macerie."



venerdì 5 luglio 2013



il lunedì piango. 
è la terza volta. 
vado a dormire senza voglia di svegliarmi, 
e poi mi sveglio triste, 
e guardo il vuoto, ché vuoto mi sento. vuoto di parole. 
o forse così pieno da scoppiare.

ricapitolando: mai ricascarci. l’imperativo è: mai ricascarci. perchè:
a.1)  ti sei preso una mazzata allucinante.
a.2)  sei sull’orlo del prendertene un’altra.
b.1)  hai pagato il prezzo delle malelingue.
b.2)  rischi di ridarti in pasto a gente troppo stupida.

parallelismi. e l’esperienza passata uguale e contraria dovrebbe fare da controspinta psicologica, se non altro in base alla teoria della prevenzione speciale. senza nessun ‘invece’.

non piango sul tempo passato, sulle occasioni perdute, sui rimorsi, sugli insulti, sulle parole morte in gola senza degno funerale.
piango sull’amore sprecato. quello non ricambiato, quello perduto, quello sbagliato, quello nascosto, quello rifiutato. quello che chi ha il pane non ha i denti e viceversa. 
quello che dice di essersi arreso. quello che ha imboccato la strada sbagliata e si è perso. quello che non sa che direzione imboccare e allora resta lì a formicolare muto, in attesa di un segnale.

piango perchè mi sovviene che l’amore sprecato non solo va perduto, ma fa perdere chi lo cova. fa smarrire la bussola. l’amore sprecato è un etere. al risveglio non sai bene chi sei. ricordi un sogno e un vago dolore.

si dice che l’amore non sia mai sprecato, ma è solo una bugia, una patetica bugia per non guardare in faccia la realtà che l’amore è un gioco a perdere, e alla fine di ogni cazzo di storia si resta nudi, 
 perchè il banco vince sempre.



giovedì 4 luglio 2013



la società contemporanea è un ristorante, e si divide in due categorie: i clienti e quelli che servono ai tavoli. c’è gente che serve ai tavoli dieci volte di fila per (il gusto di?) meritarsi una sera da cliente. ci sono clienti che sono sempre stati clienti e saranno sempre clienti e nonostante tutto non saranno mai clienti affezionati. ci sono poi clienti che, dal nulla, si ritrovano dall’altra parte del menù, in piedi e col vassoio in mano. ma non ci è dato sperare in un cambio gestione. ed è un mondo adulto, attento e ben vestito, dove si sbaglia da professionisti. eppure nessuno mai è grande di fronte ad una delusione.
la coca cola è stata inventata nel 1886 ad Atlanta. è dolce, analcolica, frizzante, e oggi è anche scura. ma nella prima versione prodotta era verde. un po’ per via degli estratti dalle foglie di coca, un po’ perchè conteneva acidi. che contiene tuttora. ma che il caramello e i coloranti mascherano bene. agli IG Nobel del 2008 se non vado errato il premio per la chimica è andato a due gruppi di ricerca, uno statunitense e uno cinese, che hanno cercato di capire se la coca cola fosse uno spermicida. ottenendo, cosa singolare in chimica, risultati diametralmente opposti. ed entrambi scientificamente dimostrati.
durante l’estate, nelle paludi salmastre intorno alla baia di San Francisco, cresce la salicornia. in molti punti il color verde giada della pianta si mescola con l’arancio vivo della cuscuta creando immagini allegre, come se la natura stesse dando una festa. ma dietro tanta bellezza si nasconde un segreto: i filamenti della cuscuta sono parassiti. succhiano le sostanze nutrienti dalla salicornia. mi chiedo se nella mia vita non ci sia una situazione simile. c’è, perchè sento che c’è, qualcosa di apparentemente bello che nasconde uno squilibrio nello scambio di energia. e non è qualcosa di negativo – dopotutto la salicornia cresce in abbondanza nonostante questo parassita – , ma è importante, è estremamente importante, essere consapevoli di quello che succede dentro e fuori di noi. e io lo sono.
una manciata di ore fa ho pressato la mano sull’ultima striscia di scotch dell’ultimo scatolone di quello che spero sia l’ultimo trasloco della mia vita perchè sono stanca di andare e venire e tornare e fare e disfare e tutto quello che vorrei è invitare qualcuno in una ‘casa mia’ e chiedergli di restare ancora un po’ quando viene la sera. la mia stanza è vuota, la mia valigia è piena, tutto quello che ho a portata di mano è qualche abito, il computer, il telefono, pochi trucchi, un rossetto, una dispensa di libri di diritto – duemilasettecentoquarantatre pagine che ho voglia di studiare, una borsa e due paia di scarpe, e mi sento immensamente ricca, e come ogni volta che trasloco mi ritrovo a pensare che ho una marea di cose che in realtà non servono a niente.
parto alle sette.
sono le nove. sono per strada. è un sabato pigro ma pieno di cose da fare. l’aria non è abbastanza tiepida per andarsene in giro mezzi nudi, eppure io sono qui con un vestito di lino e una giacchina di cotone e i sandali alti in mano e le superga ai piedi e l’inseparabile chanel a tracolla e non ho freddo. quel poco di sole che c’è me lo riesco a gustare. me lo voglio godere, a costo di sopravvalutarlo. come le persone.
passa un aereo nel cielo, lo guardo e penso che magari mi ami. è una curiosa associazione il passaggio di un aereo nel cielo al fatto che qualcuno ci ami. l’amore è un po’ così, come un aereo: te lo ritrovi lì a graffiare il cielo, uno sfregio bianchissimo in mezzo all’azzurro, uno squarcio di purezza diversa in una distesa cerulea tutta uguale.
il problema è che più bianco è, più in fretta svanisce. il vero problema è la scia tossica che lascia.
chissà chi è stato il primo ad associare aerei e amore. sicuramente qualcuno che aveva nelle tasche abbastanza speranza da camminare a testa in su. forse qualcuno che di amore non ne aveva abbastanza da inseguirlo fino in capo al mondo, e allora gli aerei li guardava da sotto, e immaginava chi ci fosse dall’altra parte della fusoliera, nella pancia di quella larva alata che dentro sè covava passeggeri.
di tutto l’amore non ricambiato io soffro. di quello che non ho saputo ricambiare, più di quello che non mi è stato ricambiato. guardo la mia vita e vedo una mappa di strade a sensi unici. mai qualcuno che si venga incontro.
forse è giusto così, forse è tutto giusto. o forse… non lo so. quello che so è che non mi pento. non ci riesco. penso a te e la prima cosa che mi viene in mente è che odio il tuo odore. odio l’ansia che mi metti, la tua guida cieca, i tuoi disinteressi, la tua ironia spicciola, la tua voce mai rassicurante. i tuoi silenzi inadeguati come te, la tua incapacità di crearli. e questa volta non mi lascio fottere dal pensiero che uno che mi ami come te non lo troverò facilmente. non importa.
siamo qui, adesso, in piedi. e dobbiamo approfittarne, perchè non sappiamo, non sappiamo sapere, per quanto ancora potremo godere di questo malfamato lusso. siamo anima più che carne, e l’anima non sa cosa farsene dei soldi, delle fotografie, del salone del mobile, delle vostre cazzate. l’anima vuole anima. pretende il riflettore di uno sguardo puntato addosso. ed è una bestemmia, ogni volta, zittire l’istinto, narcotizzare la ragione, comportarci come ci hanno insegnato. perchè di tutti gli odori che non annusiamo, di tutti i colori che non riconosciamo, di tutte le idee che prematuramente ci muoiono in testa, di tutte le parole che ci si strozzano in gola e di tutte le carezze che trovano la loro tomba sotto le nostre mani e non sulla pelle di un altro, potremmo pentirci.
il vero paradosso della vita è che sei autore e non sai come va a finire.
mai.



mercoledì 3 luglio 2013



questa notte sogno Roma. niente di personale, nessun legame particolare, nessun paio d’occhi lasciati a guardarmi le spalle nè mani svuotate delle mie guance. 
niente. solo Lei. 
i suoi spazi larghi,
 le sue luci calde, 
i sette colli tutt’attorno e il Tevere nel mezzo.

la sua gente, 
le sue storie. 
passeggiare di sera, 
di notte, 
di notte fonda, 
in mezzo al silenzio di chi in fondo non dorme, 

anche se non c’è più nessuno in giro, anche se piove, non fa niente, 
abbiamo l’ombrello, facciamo a metà, dai vieni più vicino, torniamo a casa, mettiamoci a dormire.

questo, cerco io. qualcosa di grande e familiare in cui perdermi.

e sarei certo di poter cambiare la mia vita 
se potesse cominciare un noi.




martedì 2 luglio 2013



stroboscopi bicchieri aforismi orologi magneti cessi portare i baffi imbuti scarpe sporche tavola periodica chiavi radici sasso carta forbici cavatappi spogliarsi telefoni aliquote lampade lente d’ingrandimento valigia valigia valigia anfora obbiettivo francobolli poltrona libri contabili – prima seconda terza quarta quinta declinazione – lampadine lenzuola balli di gruppo tappi bulloni e distese di asfalto stilografiche bilancia ascissa e ordinata caschi monete applaudire tachimetro entropia responsabilità aquiliana fiori di plastica sguardi di stoffa e baci e pugni e schiaffi silenziosi e microtagli e microtraumi e linee della vita dei soldi dell’amore ma quale amore di cosa parliamo quando parliamo d’amore io parlo di te.
fottuti ingranaggi.

non mi sono spiegata, vero?




lunedì 1 luglio 2013




sono indeciso se
uscire ed andare ad esprimere il dolore che ho dentro sfogandomi su un marciapiede da pestare con un paio di anfibi pesantissimi e un bicchiere di vino rosso tracannato senza pietà senza misericordia senza lasciarlo neanche un secondo respirare – dalla bottiglia alla bocca attraverso, velocemente, un bicchiere -
o
andarmene sotto le coperte a morire sperando che domani io mi svegli e finalmente non trovi più la minima traccia di niente e nessuno. neanche di me.


e soprattutto di te.


vaffanculo.