martedì 9 luglio 2013



è successo questa notte. 
nel mio studio, 
chino sul di un libro. 

e a un certo punto sono entrate. dalla finestra, 
dagli spifferi che ogni sera maledico, 
da quelle odiose fessure sono entrate due voci. 
due donne con un accento meridionale che si parlavano da un balcone all’altro.

per un secondo mi sono sentito a Napoli, 
quella meravigliosa e disgraziata Napoli 
che non vedo da un anno e che non vedo l’ora di vedere, 
che mi ha cresciuto standosene nell’ombra del suo nome, 
dove i panni si stendono ancora in balcone anche se poi prendono l’odore del soffritto della dirimpettaia, perchè a Napoli il sugo si fa soffritto, con la cipolla, e sui davanzali si tengono il prezzemolo e il basilico, e in casa non mancano mai gli odori, e per le strade non mancano mai i profumi, vivi, veraci, della gente che, anche se non ha mai niente da fare, ferma non ci sa stare.
 la gente che per guadagnare s’inventa di tutto. la gente che, anche se la mafia e lo Stato (insieme?) le tolgono tutto, fuori dai ‘tabaccari’ c’è sempre la fila per giocare la lotteria, perchè è gente che, nonostante tutto, sa ancora sperare.

ho guardato fuori, il cielo nero pece, le foglie secche del giardino. e sarò io, sarà questo maledetto luglio, sarà questo giorno che rende la campagna una perla nera avvolta in un cielo d’ovatta, ma per la prima volta, dopo tutti questi anni, mi sono ritrovato a pensare che ho un difetto: 
spesso divento artificiale.
e per la prima volta, per una volta, è stato come se non mi riguardassi.

ma poi mi sono rimessa a leggere.



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