mercoledì 27 novembre 2013



get a grip and get by in loving. __
 
ho cercato il tuo nome. battuto sul tempo. ho sorriso tranquillo. ecco, c’è un punto. aspettava di essere messo. era lì, in attesa di un calamo e di un po’ di coraggio.
 
pioggia. leggera sul parabrezza. e ordinari discorsi di nulla. il sorriso sincero di un’amica. quel bianco freddo di denti scalda più del nero dei miei occhi. [occhi vuoti.] il pensiero di te obliato da un’ora. sollievo. stanchezza. ho voglia di dormire. mi cullo.
bang. uno sparo. quando meno te l’aspetti. in direzione contraria il tuo viso, i tuoi occhi. il tuo sguardo accigliato nel traffico del pomeriggio. mi trafigge. e quel che fa male è la tua bocca. serrata, nelle parole mute. e rivolta al basso, come un arcobaleno, un triste arcobaleno, relitto di un temporale appena placato.
ma non era la sincerità, che volevi? bene: l’hai avuta. perchè non ridi più?
 
il mio status è imputabile al modo in cui per tanti anni mi sono ostinato ad amare: amando l’altro prima che me stesso. disposto ad immolare la mia vita per salvarne una che non ha bisogno d’essere salvata. lasciandomi plasmare ad ogni avvento. e consegnando un po’ di me ad ogni addio. giungendo a un punto in cui mi cerco dentro e afferro il vuoto. aria tra le dita. assenza di me.
c’era un ultimo pezzo, rimasto da cambiare. lo hai ritoccato tu. te lo consegno.
mi dico addio. e dopo mi reinvento.
 
prima, però, voglio godermi l’attimo del vuoto. perchè potrebbe essere l’unico.
 
l’ho detto, io, che ad amare si impara. 
 
 
without sheding any light
without eating my regret
                                                                                                                                      



simply, i got you for that

martedì 26 novembre 2013



la furia del temporale 
si rovescia su una città stranamente quieta. 

muta. 
tutto tace, 
questa sera. 

non ha voglia di parlare. 
avrà perso le parole.
 come me. 
come noi. 
che non abbiamo più nulla da dirci se non per farci male. 



quante volte abbiamo avuto la fortuna di godere del freddo là fuori, 
e di fargli dispetto col nostro calore?

i coldplay in sottofondo 
e un’anima a tutto volume. c

erco il nostro passato 
e trovo frutti profumati e floridi al sole di un’embrione di estate. 

li colgo uno ad uno, 
li voglio mangiare, 
li sbuccio, 
li apro e ci trovo del marcio. 

le cose non sono mai come sembrano da fuori. 

col senno di poi mi ritrovo a scandirle, 
a spogliarle, a vivisezionarle, 
senza anestesia. 

e fa un male atroce scoprire che in fondo, sì, non erano sane. 
anche se ci facevano stare tanto, tanto bene. 

erano il prodotto difettoso di una catena di ingranaggi folli, 
frettolosi e poco oliati. 

abbiamo saltato troppi passaggi. 
abbiamo omesso troppe etichette. 
non abbiamo saputo dare il nome alle cose. 
non abbiamo saputo affrontarle. 
non abbiamo saputo dirle. 

e te ne sei andata via. 

senza troppi arrivederci. 

ti sei eclissata come una stella esausta. non brilli più.


mi stai buttando via come se fossi uno qualunque. 
come se tu potessi comprarmi, 
come un cappotto o un paio di scarpe. 

come se anche domani tu potessi avermi.



ma io non ti amerò domani.







lunedì 25 novembre 2013


quando ogni luogo ha un fotogramma di noi, 
e ogni posto un cortometraggio. 

quando ogni stupida espressione mi ricorda un’occasione.

e quando ogni nota ha la tua voce.
e quando ogni voce ha una nota di te.


come faccio a lasciarti scivolare via
senza stare a guardare il pallore della scia?


ho incontrato un amico in comune. mi ha chiesto di Te. 
ho risposto che non lo sapevo, 

modulando la voce in un tono gentile.

è strano, rispondere "non lo so" ad una domanda che contiene il tuo nome.

perchè prima di Te sapevo tutto. 
dov’eri, 
con chi eri, 
cosa facevi, 
come stavi, 
cosa pensavi. 

della Te che innaffiava i miei sogni, 
sapevo tutto. 

tutto davvero. 

ma di questa nuova Te, 
questa Te che sparge sale sui miei occhi, 

che trafigge le mie notti 
e incendia i miei incubi, 

io non so niente.
 e non lo so, se lo voglio sapere. 

preferirei forse essere cieco, 
piuttosto che vedere il male che puoi farmi.


se solo fossi un minimo cosciente.
ma in fondo,

l’amore è un nonostante.





domenica 24 novembre 2013



una sottile linea di polvere da sparo. 
non è dato sapere l’innesco. 

ma la miccia ha preso fuoco. 

le distanze si sono accorciate. 
"what love can do, that dares love attempt." 

ed ho tra le mani un miraggio.

lo credevo una proiezione, 
invece posso toccarlo, 
annusarlo, 
sentirlo. 

"passion lends them power, time, means, to meet, / temp’ring extremities with extreme sweet."

mani. chiuse. 
attorno ai miei polsi. 
potrei divincolarmi dalla morsa del tuo giogo, eppure non voglio.

 silenzio. 

"bondage is hoarse and may not speak aloud." 

le tue labbra come sponde sulle quali schiantarsi, 
nel disperato intento di corroderti. 

poi, quel tuo parlarmi. 
dolce. 
sottovoce. 
"perchè sei così aggressivo?". 

hai ragione. lo sono. 

capita a chi ha paura. 
a chi si protegge. 
a chi pensa di doversi difendere. 

ma tu sei una nemica da affrontare inerme. 
e allora, anzichè infrangermi contro la spiaggia della tua bocca, 

la bagno lentamente, 
accarezzandone i margini, 
guadandone i meandri, 
infilandomi negli anfratti. 

risalendoti. come una marea. 

"my bounty is as boundless as the sea, / my love as deep: the more i give to thee, / the more i have, for both are infinite." 




sabato 23 novembre 2013



Kings of convenience – Cayman islands.
 
è solo che quando ascolto questa canzone ripenso a quei giorni. 
quando, spinto dal vento di settembre, feci la mia scelta. 
 
ripenso a quelle ore, quelle ultime ore di quiete assoluta sul filo del mare, quando io facevo finta di dormire e tu di non prenderti cura di me. i consigli, a voce bassa. mille volte "sei sicuro?". la risposta, sempre uguale. "stai tranquilla, so sbagliare."
 
le mani, le tue mani sui capelli, le sentivo toccarmi i pensieri uno ad uno, tentare di plasmarli, per fare in modo che mi dicessero "resta qui".  
e invece scelsi di andar via. lontano. lì, dove il passato non avrebbe potuto raggiungermi. tu però sì. tu lo facesti. volevi tenermi. e ci provasti. ma a me, di te, mi bastava il ricordo. 
 
 
non so, forse avrei dovuto tenermi stretto il poco che mi davi. forse avrei dovuto valutare quanto grande fosse. forse avrei dovuto resistere, continuare a costruire, un mattone dopo l’altro. continuare a tessere, aspettando un ritorno. forse avrei dovuto perseverare nel ricominciare da qualcuno e non da me. 
 
come uno qualunque. …ma cosa dico? io non sono mai stato uno qualunque.
avrei dovuto. forse. eppure, non ho rimpianti. non ne ho avuti mai. so di star bene così. so che tutto sta bene così, nella forma che abbiamo lasciato che prendesse. nel modo in cui doveva andare. non l’unico, solo il migliore.
 
e se tornassi indietro, sceglierei uguale. sceglierei di sbagliare.
scusami se scelsi per me.
 
sei l’anello che non porto al dito.
 
 
 
 

venerdì 22 novembre 2013



quelli come me son destinati a rimanere soli. 
perchè solo da soli si completano davvero.
 
hanno già trovato l’altra metà della mela: 
ce l’hanno dentro. non hanno bisogno di un prossimo per amare, 
odiare, tenersi compagnia, litigare, fare pace, fare l’amore. 
bastano a se stessi, quelli come me.
 
 
io, la maggior parte delle volte, mi amo. 
temo nessuno mi abbia mai amato più di quanto io ami me stesso. 
 
mi curo, mi dedico il mio tempo e la mia giusta dose di attenzioni. 
mi consolo. mi inganno. innaffio la mia autostima. 
e sadicamente coltivo la mia superbia.
 
poi arrivano quelle sere che mi odio.
 che con me stesso non ci sto affatto bene. 
ma per un cazzo proprio. 
 
una metà urla e inveisce contro l’altra. e viceversa.
è una giostra di dolorosi rinfacciarsi. un continuo chiedersi se avrei potuto portarla altrove, questa mia vita. più in alto. dove solo chi danza riesce ad arrivare. 
 
musica, 
musica, 
musica ancora. 
non mi troverete mai senza in bocca una canzone. affannato di impegni attraverso la meraviglia di questa città che ostenta opulenza. 
 
stuzzico il mio interesse. fantastico il mio futuro. e canto. 
la gente mi crede pazzo. io rido perchè so di esserlo. un passo. poi un altro. poi un altro ancora. fluidità dei gesti. declinare i movimenti. 
 
non lo senti il peso dei tuoi piedi? ecco. si chiama ritmo.
 
 
ho ancora voglia e bisogno di affondare nel pavimento, di chiudere le scapole, di infiammarmi i muscoli, di screpolarmi i piedi. ma troppe cose insieme, bene, non si possono fare. così sono costretto a scegliere. 
 
con o senza di Lei. 
 
io che mi amo odio ledermi. e mi lederei in un modo o nell’altro.
ma i miei piedi non tacciono.
 
 
e mi rimprovero di piangere di rabbia su problemi così leggeri eppure duri a lavar via, 
 
quando dall’altra parte il mondo trema. 
 
 
e la gente pure. 
 
 
 
 

giovedì 21 novembre 2013



the treadmill entertains me.
but i’d need something to tickle me.
or quite just a new comedy.
there’s no fun in reruns.
 
 
sono giorni di strana diligenza, questi. inerzia fisica e solerzia intellettuale. pensieri da leone e passi da gambero. colossali intenzioni freddate sul nascere. peccati. grandi peccati.
 
giorni in cui mi rendo conto che troppo spesso per amarsi veramente bisogna sapersi odiare. 
sapersi forgiare senza indulgenza. ed io mi ci provo da sempre. e troppo spesso la clemenza vince. ma ho pensato ad un tranne.
 
giorni in cui mille cose mi traghettano gli occhi, ma nessuna di esse mi allibisce. resto impassibile ad assistere a spettacoli già visti, sentiti, recitati. monotonoia. vivo senza trasporto. 
 
e intanto vomito parole pensieri opere ed omissioni. 
ed ho conati di misantropia.
 
i wish my brain had a map to tell me where my heart should go.
 
quando avresti voglia di qualcosa di familiare, e difficilmente riuscirai a trovarlo in casa tua.
quando avresti voglia di qualcosa di davvero diverso. quando avresti bisogno di andar via.
 
 
_auguri mio piccolo dolce amore_

mercoledì 20 novembre 2013



sempre più mi convinco che sia esclusivamente l’inutilità del primo diluvio universale a convincere Dio a risparmiarsi la fatica di mandarne un secondo.
 
sempre più mi guardo attorno e vedo un Uomo che ha raccolto tutta la saggezza dei suoi predecessori, eppure è così stupido.
 
 
ci lasciamo attraversare, di tanto in tanto, da un raggio di ideale. 
una parentesi di illuminazione, che subita si richiude. poi, nuovamente, ricadiamo in balia dei paradossi. 
 
ci abbandoniamo al buio delle nostre abitudini e ci lasciamo cullare dalla convinzione che qualunque danno resti impunito se riusciamo ad occultarlo a noi stessi. 
 
siamo ciechi.
e non abbiamo un buon udito.
 
e io, io che continuo imperterrito a dichiararmi innocente quale sono, 
sconto peccati che non mi appartengono, e la sola colpa d’aver scelto di vivere con me, da me, per me. senza ambasciatori. e con molta pena.
 
 
che pena mi fa la gente che pur di non scegliere continua a farsi scegliere. 
 
che pena mi fa quella che invece ha già scelto eppure resta ferma, aspettando il momento giusto, senza capire che deve crearlo.
 
che pena mi fa quello che ama ed è illuso di essere amato, e quello che pur non amando s’illude di amare.
 
che tristezza mi fa la gente che tradisce. 
sè stessa. prima ancora che gli altri.
 
che tristezza mi faccio io, che proprio non imparo. che volentieri mi lascio immolare. 
che lascio sempre una speranza aperta a sanguinare.
 
e allora lì c’è una porta socchiusa. prendila in senso inverso, prendi i tuoi ricordi e vai. 
 
perchè se uno smette di essere, non lo è stato mai. 
 
 
 
 

martedì 19 novembre 2013



novembre. ritornare. ai posti e alle abitudini. passeggiare lungo una poesia a cielo aperto. entrare. salutare. ordinare. bere. come se l’alcool lavasse via il dolore. disinfettasse l’anima e conservasse il cuore.
 
l’idea di essere circondato da persone che mi privano della mia solitudine senza darmi la loro vera compagnia mi innervosisce.
 
"esco". e vieni con me. l’aria di novembre ci prende in pieno viso, ma noi in viso non ci guardiamo. non ancora. fa freddo, qui dentro. e mi sorprendo a pensare che cosa faresti, adesso, se mi sentissi tremare. un’idea di passaggio. ma l’espiro via come fumo. nonostante il danno che lascia.
 
si susseguono chiacchiere. passeggiamo per viuzze obbligate. tanto, entrambe sappiamo che stiamo andando alla piazza.
 
poi, a bruciapelo, mi chiedi di lei. "e quella lì, che fine ha fatto?" 
 
alzo gli occhi. guardo nel vuoto il suo ricordo. lo metto a fuoco. poi ti rispondo. "la fine che merita." 
 
 
perchè ognuno ha la fine che merita. anche quando non se la va a cercare. e, nel tuo caso, è stata la tua fine a trovare te. nonostante tu ti fossi nascosta. evidentemente, non lo hai saputo fare bene. l’occhio della mente è stato più aguzzo di quello del cuore. e ti ha sorpreso a bluffare in nome di una menzogna che chiamavi amore. mi sono lasciato imbrogliare. finchè ne ho avuto piacere. poi ho scoperto le carte. come quando fuori piove. e t’ho visto stupire e scappare. 
 
eppure, sai, t’avrei potuta anche amare. con tutta la fatica che stavo facendo per tenere accesa quella fiamma nel vento del nord e nell’idruro di arsenico del passato. 
 
con tutti i sacrifici che avrei fatto ancora pur di costruirci un’alcova e non un nido di paglia. con tutto il sentimento di quando t’ho guardato, ho riso e ho detto "io non lo so, che cosa ho fatto per meritarti, ma voglio tenerti". cosa che ancora penso. salvo il finale.
 
 
sì, t’avrei potuto amare. 
 
forse t’amavo sul serio. o forse amavo l’amore? 
non lo so, non lo voglio sapere. sei un ricordo che non voglio esumare. e non avrei dovuto parlare di te. perchè altre volte, mascherato da parole amiche, il tuo ricordo mi verrà a cercare. ma io ti lascio lì, dove meriti di stare. hai fatto già fin troppo male a me che non meritavo dolore.
 
per sete d’amore si beve dovunque, ma con dignità, con onore. e tu hai bevuto, senza badare al sapore o al torpore, dal mare, dal fiume, da un tombino aperto e poi altrove. 
 
ho pena di te, inesperta mentitrice. e di me, che ancora spargo sale sul tuo odore. e, per una volta, imparo dall’errore. condanno il mio uccisore. e ricomincio. ma chissà da dove.
 
l’amore è qualcosa di orribile. 
ma ha uno splendido nome.
 
(memorie dal passato)
 
 
 
 

lunedì 18 novembre 2013



se non ti stringo 
sono vuoto. 
 
è vero, sai. riesco a sentire il tuo odore tra mille profumi, 
la tua voce tra mille rumori, 
il tuo contatto tra mille carezze. 
il tuo profilo, tra mille visi. 
 
non già perchè mille volte con la punta delle dita l’ho percorso, 
cercando chissà cosa su quell’orlo di delirio. 
 
eppure la tua assenza non ha nome. 
e non lo vuole avere.
 
 
a che servono le parole? 
me lo sai dire tu? 
forse a colmare pensieri, forse a zittirli, a sovrastarli. 
forse a cancellarli. 
 
le usi poco, tu, le parole. 
preferisci i silenzi.
è così che mi parli. 
non lunghi discorsi, nè memorabili apologie. 
solo occhi taciti e scrutatori.
 
sguardi diluiti col dubbio. fuggevoli. leggeri. 
 
quanto pesano, le parole?
tanto? poco? nulla? 
con che cura, con che sapienza le scegliamo? 
 
con che logica le disponiamo in file indiane? 
sono un’arma? un pericolo? un’emozione? un candido inganno?
un’intenzione in abito da cerimonia? 
 
cosa sono, le parole?
tu me lo sai dire, a che servono?
 
 
 
ho incontrato, sulla mia strada, tante persone piene di parole. 
carezzevoli e cattive. 
intense e frivole. 
immobili e malleabili. 
 imperative e remissive. 
e ognuna mi ha lasciato un po’ di sè. 
 
ma quando son passato avanti, 
di loro mi son portato via solo il ricordo. 
di te, invece, mi prendo l’assenza. 
la distanza. il diniego e l’assenso. 
 
il silenzio. 
è quello il tuo parlarmi.
 
 
e allora io non ti chiedo niente. 
non ti chiedo promesse, 
nè vincoli, 
nè identità, 
nè compagini di buone intenzioni. 
non ti chiedo niente. 
 
solo un abbraccio. 
solo uno. 
in silenzio. 
 
abbracciami. 
e lasciami evaporare nel tuo odore.
 
 
 
è una sera strana. 
una sera che diventa notte. 
una notte che diventa sogno.
 
se non ti stringo 
sono vuoto.
 
 
 

domenica 17 novembre 2013



 
e caddi. come corpo morto cade.
 
"siamo cresciuti tutti ormai. è brutto a dirsi ma è inutile fingere d’essere peter pan."
già, amico mio. siamo cresciuti tutti. noi, le nostre storie e il nostro portarle avanti. siamo cresciuti, e i nostri tempi si sono ristretti. ci vediamo per un caffè. quattro chiacchiere. quella volta che e quell’altra in cui. il tempo è tiranno, amico mio. il tempo si porta via gli anni migliori. ma i ricordi, quelli no. quelli ci appartengono. rimangono sempre sul fondo del cuore.
e talvolta vengono a galla. e oggi lo fanno. risalgono come carpe su nel fiume del ricordo, e alla foce sbattono contro un muro di venefica realtà. si schiantano contro le distanze che ci portiamo dentro. e tornano a nuotare, nelle lacrime dei nostri rimpianti.
tu te la ricordi quella Chiesa, quel tuo amico col maglione azzurro, quella sera di festa, duemilacentonovanta sere fa? te lo ricordi quel pomeriggio al cinema, com’eravamo felici? te le ricordi le 13.17, quel giorno di gennaio al mare?
tu te lo ricordi, come si ama?
 
siamo cresciuti, ormai. e i ricordi rimangono indietro. c’è una nuova storia da scrivere. un nuovo finale da inventare.
nuovi colpi di scena cui assistere, con mediocre stupore. nuovi applausi da far risuonare. nuovi fiori da cogliere. nuovi luoghi da vedere. nuovi abiti da indossare. abiti importanti. abiti come promesse. e nuove felicità da rincorrere. forse.
perchè le nostre vite, amico mio, possiamo riempirle di tutto quello che ci pare. ma quando ci manca un elemento, quell’elemento, come possiamo pretendere di essere felici? come possiamo pretendere di ricordare come eravamo felici quando amavamo?
ma tu, te lo ricordi, come si ama?
 
"e tu, come stai?"
come uno che non riesce a smettere. 
 




sabato 16 novembre 2013



l’amore è una prigione.
ne sono convinto.
la facoltà di amare, quella rende liberi.
ma l’amore no.
 l’amore ti imprigiona.
 
 
la mia città. 
amo il suo odore. l’odore delle sere che piove, e non si sente lo smog, e il fresco ti entra nelle narici, ti invade i pensieri.
 
è un nodo di strade che non viene mai al pettine. e sono particolari, queste strade. è come se i palazzi formassero un unico immenso blocco di cemento. e io camminassi sul fondo di una crepa. 
 
passeggiare per queste vie mi fa sempre uno strano effetto. 
è come quando una luce ti acceca: non vuoi una luce più fioca. vuoi il buio. così, di fronte alla maestosità e all’impeccabilità imperfetta di questo borgo d’apparenza, 
fatico a trovare la sostanza, e finisco per desiderare quella, e quella sola. 
 
è un’overdose di modernità. 
l’inossidabile inutilità di tutto quello che mi circonda mi nausea, mi stupisce e mi lascia attonito nella pioggia, scortese, di novembre. 
 
a me basterebbe un libro, un sorriso, una carezza. qualcosa di semplice. di estremamente semplice, intendo. come l’odore del caffè d’orzo. come qualcuno che entra in casa senza bussare. come riempire l’altra metà del letto. come una frase detta in un modo particolare, uno sguardo che mi sorprende tra la folla, un complimento. una familiarità. una cura. 
 
una chitarra acustica. questa pioggia. te.
mi basterebbe poco. 
 
 
stasera mi basto io. 
 
in una città che ha tutto da offrire, potrei circondarmi di tanto superfluo. ma non lo faccio. perchè so che non potrei mai star bene finchè mi manca l’essenziale.
 
e l’essenziale, spesso, 
è invisibile agli occhi.
 
 
 

venerdì 15 novembre 2013



è per te, questo pensiero nel buio. candido.
mi piace starmene in strada quando piove. 
trovare una scusa per uscire, 
e vagabondare fino alla meta, 
prendendo a bella posta la strada più lunga. 
guardando dentro i bar, 
studiando i volti mobili degli estranei, 
immaginando le storie della gente che si ripara sotto i tendoni e le pensiline dei trasporti e si scalda le mani col fiato.
è densa, 
l’aria di questa città. 
e quanta gente la respira. 
 quest’aria è densa di tutto quello che si porta con sè quando le persone la soffiano via. 
è inspessita dai malumori, 
dalle ansie, 
dai timori, 
dai sentimenti, 
dalle gioie, 
dai dolori, 
dagli amori nomadi delle persone che brulicano nelle vie del centro, e involontariamente condividono talmente tanto che finiscono per apprezzare la solitudine. 
come fosse un dono. 
gli sguardi non passano mai il testimone ai discorsi. 
ma il silenzio è un inganno. 
le parole s’aggrappano a solide sbarre di denti serrati in un sorriso. 
ma non evadono. 
e le stelle si nascondono. 
e si fanno vedere a stento. 
e non sono mai abbastanza vicine da poter rispondere alle nostre domande. 
e sarebbe bello immaginarti qui. 
sarebbe bello immaginare noi. 
ma il buio mi assorbe i pensieri. 
l’asfalto li sfregia. 
le punte del duomo graffiano il cielo.
e la pioggia si schianta contro l’aria. 
e viene giù leggera. 
piccolissima.

giovedì 14 novembre 2013


c'è stato un preciso momento 
in cui la mia vita è stata una parabola 

con a maggiore di zero, 

una sezione conica 
tagliata con un bisturi 

in una vita che continua ad essere imperfetta. 
c’è stato un vertice negativo 
raggiunto una sera di dicembre, 
e vari punti di fuoco che riscontro nella prima decade di marzo. 

ma in gennaio ho cacciato via le serpi, 

in febbraio ho ripreso il mio lavoro, 
in marzo ho affrontato il concetto di ‘despedida’,

 in aprile ho fatto pulizia, 
in maggio ho rispolverato, 

in giugno mi sono lasciato andare, 
in luglio ho vinto qualche sfida, 

in agosto ti ho trovata senza cercarti,
 in settembre ti ho avuta senza chiederti, 

in ottobre mi sono fatto rispettare, 
e adesso che è novembre un’altra volta 
e tu non ci sei più 

quelle strofe hanno un valore inestimabile. 
sono il mio memorandum, 
il mio unico comandamento. 

e la mia vita continua ad essere imperfetta, 
 piena, ma a me piace così. 

perchè le vittorie di Pirro non mi appartengono, 
e se vittoria dev’essere, che non sia mai a tavolino. 

ho imparato molte cose da allora, 
da te, 
senza di te, 

e non so se dipende da me 
o da te, 

comunque sto imparando a scegliere, 
di volta in volta, 
 di essere felice. 


sto imparando a credermi importante, 
 ricordandomi che non lo sono. 

sto imparando che tutto si può imparare.

e che, anche quando l’amore ci distrugge, 

la poesia ci salva. 

ci salverà sempre. 

martedì 5 novembre 2013




non è un traguardo 
ma una tappa. 

un punto d’arrivo, 
ma anche di partenza.

 il passaggio del testimone 
tra quella che eri e quella che sei. 

è la vita che cambia.

la mia è cambiata. 

mentre ero impegnato a fare altro, 
proprio come dicono. 
mentre posticipavo il superfluo e cominciavo, 
per la prima volta forse, 
a pensare al necessario. 

mentre seminavo lungo la mia strada 
tutto ciò in cui non riuscivo più a credere, 
facendo posto a qualcosa cui invece non posso non credere, 
qualcosa che non posso ignorare. 

mentre cominciavo a capire 
che è inutile riverniciare i mobili quando il legno è marcio, 
e che le rivoluzioni partono dal basso,
 e che quel che è mio è mio 
e quel che non è mio non importa di chi sia 
purché quel che è mio sia mio.

mentre i colori era importante saperli usare, non usarli. 

mentre le sigarette era importante averle, 
non fumarle. 

e mentre l’amore, 
quello vero, finalmente esplodeva, 

con tutte quelle schegge che per amore sopporti 
e porti sottopelle, 

perché in fondo l’amore non è altro che un nonostante.


mentre tutto questo cinema 
veniva proiettato sulla mia figura buia, 
nuda, 
finalmente spoglia di una veste non più sua e sgombra di fardelli che rallentavano il percorso, 

un’era astrologica si completava. 
e io rinascevo. diverso. solo.


ed oggi la mia vita non è ancora come voglio che diventi,
 ma pronta a diventarlo. 

e anche se lo aspetti, non lo programmi. 



succede.