quelli come me son destinati a rimanere soli.
perchè solo da soli si completano davvero.
hanno già trovato l’altra metà della mela:
ce l’hanno
dentro. non hanno bisogno di un prossimo per amare,
odiare, tenersi
compagnia, litigare, fare pace, fare l’amore.
bastano a se stessi,
quelli come me.
io, la maggior parte delle volte, mi amo.
temo nessuno
mi abbia mai amato più di quanto io ami me stesso.
mi curo, mi dedico
il mio tempo e la mia giusta dose di attenzioni.
mi consolo. mi inganno. innaffio la mia autostima.
e sadicamente
coltivo la mia superbia.
poi arrivano quelle sere che mi odio.
che con me
stesso non ci sto affatto bene.
ma per un cazzo proprio.
una metà urla e
inveisce contro l’altra. e viceversa.
è una giostra di dolorosi rinfacciarsi. un continuo
chiedersi se avrei potuto portarla altrove, questa mia vita. più in
alto. dove solo chi danza riesce ad arrivare.
musica,
musica,
musica ancora.
non mi troverete mai
senza in bocca una canzone. affannato di impegni attraverso la
meraviglia di questa città che ostenta opulenza.
stuzzico il mio
interesse. fantastico il mio futuro. e canto.
la gente mi crede pazzo.
io rido perchè so di esserlo. un passo. poi un altro. poi un altro
ancora. fluidità dei gesti. declinare i movimenti.
non lo senti il peso
dei tuoi piedi? ecco. si chiama ritmo.
ho ancora voglia e bisogno di affondare nel pavimento,
di chiudere le scapole, di infiammarmi i muscoli, di screpolarmi i
piedi. ma troppe cose insieme, bene, non si possono fare. così sono
costretto a scegliere.
con o senza di Lei.
io che mi amo odio ledermi. e mi lederei in un modo o nell’altro.
ma i miei piedi non tacciono.
e mi rimprovero di piangere di rabbia su problemi così leggeri eppure duri a lavar via,
quando dall’altra parte il mondo trema.
e la gente pure.
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