martedì 2 novembre 2010




Alla fine ti trovasti in un bel posto
e lì capisti perché t'erano stati chiesti gli occhi in prestito.

Per il loro particolare colore,
fai tu quale, che ora è l'iride delle finestre.

Alla fine ti fu chiaro perché quel gran parlare
della tua bella conchiglia auricolare;
e quel solleticare.

Eccoli i padiglioni,
i disimpegni,
la chiocciola i vestiboli
ecco la stanza.

E tu entrasti perché c'era tutto
e tutto a oltranza i tuoi comportamenti e le reazioni,
le tue belle presenze e gli abbandoni,
le carezze in cambio delle tue carezze,
e le scontrosità, le irritazioni.

C'era anche qualcuno che ti diceva
"È tardi dobbiamo andare".
E tu dicevi "No, io voglio ancora,
ancora io mi voglio rivedere
e se non tutta, almeno l'inizio".

Che cosa avresti fatto per sentirti un po' più sola
e per dolcemente navigare
sul dorso o sul tuo petto,
e fare una capriola
che ribaltasse il cielo.

Lì c'eran tutti predisposti i baci
asciutti e meno e tutti i desideri,
e le istintive applicazioni di te
eran montate ad arte accanto al tuo profilo,
vicino ad ogni tua parte.

E tu dicevi "Ancora un altro poco
e se non tutto almeno un po' d'inizio".
Fare si può fare ed anche disfare,
ma è un'impalcatura.

Dipende da chi sopra ci sale.

E tu dicevi "Ancora un poco,
e se non tutto, e se non tutto
almeno l'inizio".

E tu, una volta su
osservi la tua stanza.

Tu, la tua, nella quale,
oltre il disfare e il fare,
si delineano cose
appena appena verosimili.

Con ciliege passeggere e grappoli appannati,
d'uve segrete e nere dalle pelli boriose e fini,
perché tu, che ti senti alle volte una mandria
possa indire turchini selvaggi festini.

Con curvi cieli estivi che scendono
come coperchi su te che bollivi.

Con i freschi provvisori che soffiano
sotto i cuscini e tu li assalivi
con gli abbracci e le guance
giaciute con l'equatore
perché di te, già cibata,
non è di calore che hai bisogno
ma di un orgoglioso refrigerio.




1 commento:

...qualsiasi parola ha sempre un valore...