martedì 18 giugno 2013




buio. lenzuola. mani. capelli. me li accarezzi piano, in superficie, senza profanarli con le dita. li sposto lentamente, e tu me li raccogli. poi li pettini. ‘hai dei nodi’, dici.
ti guardo il naso.
‘prima o poi li scioglierò.’
alla fermata del 24 la gente sbadiglia, sul display campeggia la scritta ’24 – 6 MIN’. accanto a me una donna dalle scarpe oscene. e una Signora che parla al telefono con fare concitato. due battute, poi capisco: sta parlando con la figlia. la sta rassicurando. è in ritardo, ma sta arrivando. chiude. mi guarda. sorride.
‘ho una figlia esemplare’, sospira. ‘anche lei è così con la sua mamma?’. sorrido.
‘la mia mamma è lontana…’
‘ah beh. devo andarmene in Australia, io. a far cosa, non lo so.’
‘vacanza, Signora. vacanza.’
saliamo sul tram. vedo i posti vuoti in testa, corro a prenderli. incrocio un mio conoscente. un ciao, due parole di circostanza, poi lui va in fondo. la Signora sopraggiunge. la aspettavo.
‘vuole venire a sedersi qui?’
‘volentieri! … ah… mio marito diceva sempre: non correre tu, lascia che siano gli altri!’
‘e mi sa che c’ha ragione, suo marito.’
‘è morto sette anni fa.’ guarda dritto, cosa non lo sa. ‘vuole che faccia sedere qui il suo amico?’
‘ma s’immagini… prego, si segga.’
‘meglio così: non mi piace per lei.’
non posso fare a meno di ridere sotto i baffi.
‘almeno è eterosessuale, Signora. e non ne son rimasti tanti.’
‘non mi dica che è gay anche quel gran fusto di George Clooney…’
‘temo sia un po’ troppo maturo per me.’
‘oh, sì. troppo vecchio per lei. e troppo giovane per me.’ ridiamo. ‘ma a me di attori non ne son mica piaciuti tanti, sa. il primo che mi è piaciuto è stato Gregory Peck, perché era un Signore.’
‘Vacanze romane’, lo diciamo insieme, in un unico sospiro. ‘quando lui non diceva niente alla Hepburn… era un Signore. poi ho amato Paul Newman… e infine adesso mi piace Clooney. tre, mi sembra un numero giusto.
di uomini veri, invece, ne ho avuto uno solo. mio marito. che è mancato sette anni fa.’
‘mi dispiace.’
‘l’ho incontrato a quindici anni, l’ho sposato poco dopo e l’anno prossimo avremmo dovuto celebrare i cinquant’anni di matrimonio. ma era un Signore, lui, sa. era un Manzoni, un discendente della sua famiglia, e diceva che ero io quella nobile dei due, e lo ero veramente, perché ho due cognomi e son contessa sul serio. ma la verità è che il Conte è sempre stato lui. un gentiluomo.’
nel frattempo la guardo. ha un’età avanzata, ma la trovo molto bella. ha tante collane marroni fatte di legno, un paio di orecchini splendidi, truccata poco ma bene, le labbra definite, le parole definite. sorrido sognante.
‘condividevamo tutto. uscivamo tanto. discutevamo spesso. una sera siamo andati al cinema in duomo e abbiamo fatto tutta la strada del ritorno fino a san gottardo, dove abitavo io, litigando, discutendo del film. Hiroshima non amour.
litigavamo, litigavamo sempre. è stato un matrimonio meraviglioso.’
‘ha dei figli?’
‘due, ormai grandi, sposati…ho anche due nipoti. i matrimoni vanno bene, grazie al cielo. uno si dividono i soldi, l’altro parlano poco, ma finchè son contenti loro…
io e mio marito non dividevamo niente. condividevamo tutto, e parlavamo moltissimo. a cena da tavola non ci si alzava più.’
sospiro. guardo fuori. ‘altri tempi.’
‘ah, la mia fermata… devo salutarla.’
‘è stato un piacere.’
‘reciproco.’ sorride. mi fissa, strizza un poco gli occhi, sporge il viso in avanti e mi sussurra: ‘auguri’. riesco a risponderle ‘grazie’, ‘altrettanto’ no perché è già scesa, lasciandosi alle spalle l’amarezza dei tempi che cambiano, portando altrove il fascino del perduto.
la ragione per la quale mi si annodano i capelli è perché cercano, anche loro, di trattenere il tuo odore, quello che mi piace tanto, il tuo odore morbido e forse non pulito ma senza dubbio puro, di impugnarlo e imprigionarlo in una gabbia di crine, quando te ne vai, quando ti mando via, quando ti dico che non ti voglio più vedere e dopo mezz’ora ‘a stasera’, quando sembra la fine e invece è solo l’ennesimo inizio. fili tenuti insieme dalle parole che non dico, che prima o poi da questa testa dovrebbero uscire e prendere il volo verso i tuoi occhi selvaggi e invece rimangono qui a metà strada, impigliate nella paura di perderti con la quale ti baratto.


_stretti pensieri e considerazioni 
di un'anima comlicatissimamente bellisisma_



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