domenica 13 aprile 2014


le sedie sul balcone, il tavolo nel mezzo, quel fiore finto che fa capolino. la luce di un mattino in cui mi arrogo il diritto di restare a dormire. ognuno è le scelte che fa. un caffè, un altro, un altro ancora
.
si respira sonno e polline, fuorisalone, sottopassaggi, sopravvalutazione. la Crisi, la Crisi ne uccide un sacco, le aziende tassate al 68,6% e chi ci governa mangia coi nostri soldi, si cura coi nostri soldi, fa le vacanze coi nostri soldi, ché noi mangiare non mangiamo, curarci non ci curiamo, e vacanze non ne facciamo,


e tutti a puntare il dito contro questa gente che specula e imbroglia, ma la cosa più divertente delle critiche mosse ai politici è che i loro accusatori si comporterebbero alla stessa maniera. sicché un italiano, uno qualunque al quale sia rimasta un minimo di capacità critica e di osservazione che vada oltre il becero qualunquismo da tubo catodico, comincia a chiedersi se la vera Crisi non sia un’altra, tutt’altro che economica, ben più radicata e subdola, ben più dissimulata ed insabbiata, così profonda da essere ormai inconscia. ma poi scatta il numero sul display e bisogna andare allo sportello tre a pagare un’altra multa.

ho una memoria beffarda. dimentico le cose grandi ed importanti, ma i dettagli, quelli piccoli, quelli trascurabili, quelli che ‘figurati’, quelli sufficientemente innocui da fotterti, quelli no. mai.
adoro guidare per ore perché è l’unico momento in cui sono veramente da solo con me stesso. sembra che le lamiere siano l’unico materiale isolante per i miei pensieri, sicché li lascio fluttuare liberi intorno ai miei capelli, convinto che tanto lontano non potranno andare, e li tengo al guinzaglio con una canzone.


da piccolo amavo i cruciverba, quelli che faceva papà sotto l’ombrellone. erano incastri di parole senza alcun legame, ma lasciarli incompleti mi dava un senso di irrisolto. non dovevo mai lasciarli in sospeso, e a volte, a costo di chiuderli, annerivo qualche casella in più, per non lasciare spazio.


il mio nome, quello vero e senza storia, penzola docile dal manico di una valigia che dallo sgabuzzino mi guarda sorniona.


il dottor Paolo Baiocchi, direttore dell’istituto Gestalt di Trieste, nello studio dell’elaborazione del lutto sostiene fermamente che, immediatamente dopo il decesso di qualcuno a noi caro, la seconda situazione di perdita più dannosa è la separazione da un partner. la persona lasciata o tradita subisce un trauma di entità variabile in base all’attaccamento e alla maturità psichica, 

ma assolutamente equiparabile a quello provocato da una morte.



pensare di conoscere una persona è come credere che il mare finisca all’orizzonte.













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