venerdì 23 maggio 2014



Le lacrime scendono, e sono parole. Le lacrime sono sempre parole, e chi ti ama sa tradurle, e indovinare quando piangi per venire a dirti di farlo finché ne hai bisogno.
Scendono con naturalezza, come se piangere fosse la cosa più inevitabile del mondo.


Una sorta di parto necessario. 


Dicono che il dolore sul lungo periodo serva a qualcosa.


Io faccio parte di quella categoria di persone che se potesse lo cancellerebbe. Cancellerei i ricordi, anche quelli meravigliosi, pur di avere un pò di spazio nella mia vita, ché adesso tutto è occupato, e io non ho spazio per muovermi, né per respirare.


Le membra pesanti, lo stomaco in fiamme, la testa che scoppia, ogni gesto risulta faticoso come una scalata, e me ne rendo conto all'ora di pranzo, e di cena, e di pranzo, e di cena, che alcuni gesti considerati normalmente necessari diventano superflui, eliminabili, addirittura fastidiosi. E allora si saltano, perché la conservazione del tempo diventa vitale, perché quando si piange si cerca di farlo il più possibile in modo da consumarsi completamente, noi e le lacrime, e in fretta, fino a scomparire.


Ma le mie lacrime sono inesauribili.


Ho conosciuto una persona, una volta, che piangeva senza lacrime.
Sono stato anni col dubbio che quelli non fossero veri pianti.
Solo adesso capisco che forse avevo ragione.

Soffrire mi porta a diventare più presuntuoso di quanto non sia già.
Soffrire così mi dà l'automatica certezza che il mio dolore sia il più forte che esista.


In questo momento io sento di soffrire come nessuno sulla Terra, e mi faccio forte di questo primato, ché almeno sono primo in classifica da qualche parte.


Nessuno soffre tanto e bene come me, nessuno riesce a farsi annientare come ci riesco io.


La purezza del mio dolore mi permette di guardarci attraverso e di lasciar cadere tutto ciò che ho intorno in modo da sfracellarlo.


Il dolore senza autodistruzione non è niente.


E io sono il primo.

il primo della classe


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