un giorno Lea tornò a casa che era incazzata, ma incazzata nera,
perchè Enrique gliene aveva combinata un’altra delle sue, e dopo essere
entrata sbattendo la porta, aver salutato Eva che le scodinzolava
intorno, abbandonato la borsa sul mobile dell’ingresso e aver fatto
tictoccare gli insulsi tacchi su e giù per il corridoio, instaurò un
monologo lunghissimo del quale ad oggi ricordo solo l’excipit: ‘è
proprio uno stronzo’. io per un secondo alzai la testa dal mio libro di
derecho eclesiastico, ma non guardai lei. guardai la finestra, la
cornice della parete bianca, il vetro e quello che c’era oltre. la vita
fuori. e dissi ‘ti metti con una persona, ti lasci con un’altra’.
e quel momento mi ritorna in mente oggi, come ieri, come da tre settimane a questa parte. perchè è vero, cazzo. è troppo vero: quando ti ho conosciuto tu non eri così. quando ti ho conosciuto sapevi prenderti cura di me nonostante te. quando ti ho conosciuto sapevi ancora fidarti di me. possibile che adesso tutto quello che ti riesca sia abbandonarmi in mezzo a queste sabbie mobili e sperare che si richiudano da sé?
la cosa che mi fa più male è che non posso incolparti di un cazzo. non posso dare a te la colpa del fatto che il mio erasmus sia andato a puttane, che io non abbia ancora trovato una casa da comprare, che le cose mi vadano male col lavoro, che l’università non mi piaccia più e che per la prima volta io mi stia davvero chiedendo ‘ma io che ci faccio qui se ci sono così tante cose che so fare meglio?’, che abbia comprato un libro in francese (guarda un po’, Le petit prince) ma non abbia questa gran voglia di partire per Parigi perchè la mia prima volta a Parigi la immaginavo diversa – no non ho detto con te ho detto solo diversa, che io mi stia trascurando, che mi senta sola, che continui a rinchiudermi nella mia cinefilia e, quando esco, ad aggrapparmi a posti e persone sbagliate continuando a sperare in quel chissàccheccazzocosa che non arriverà mai perchè è come cercare una costata di vitello in pescheria. che io non abbia una vita normale come vorrei, perchè quello che voglio in fondo è proprio questo: una vita normale. non più per fretta di crescere, ma per esigenza di sopravvivere. svegliarmi presto, lavorare, studiare, mangiare senza appesantirmi e senza vomitare, passare tutti gli esami che devo passare, guadagnarmi i miei soldi, scansare gli sbagli. sorridere, anche quando rimango da sola. avere accanto qualcuno che ci sia, non qualcuno che mi dice ‘io ci sono’, ma qualcuno che ci sia per davvero.
e quel momento mi ritorna in mente oggi, come ieri, come da tre settimane a questa parte. perchè è vero, cazzo. è troppo vero: quando ti ho conosciuto tu non eri così. quando ti ho conosciuto sapevi prenderti cura di me nonostante te. quando ti ho conosciuto sapevi ancora fidarti di me. possibile che adesso tutto quello che ti riesca sia abbandonarmi in mezzo a queste sabbie mobili e sperare che si richiudano da sé?
la cosa che mi fa più male è che non posso incolparti di un cazzo. non posso dare a te la colpa del fatto che il mio erasmus sia andato a puttane, che io non abbia ancora trovato una casa da comprare, che le cose mi vadano male col lavoro, che l’università non mi piaccia più e che per la prima volta io mi stia davvero chiedendo ‘ma io che ci faccio qui se ci sono così tante cose che so fare meglio?’, che abbia comprato un libro in francese (guarda un po’, Le petit prince) ma non abbia questa gran voglia di partire per Parigi perchè la mia prima volta a Parigi la immaginavo diversa – no non ho detto con te ho detto solo diversa, che io mi stia trascurando, che mi senta sola, che continui a rinchiudermi nella mia cinefilia e, quando esco, ad aggrapparmi a posti e persone sbagliate continuando a sperare in quel chissàccheccazzocosa che non arriverà mai perchè è come cercare una costata di vitello in pescheria. che io non abbia una vita normale come vorrei, perchè quello che voglio in fondo è proprio questo: una vita normale. non più per fretta di crescere, ma per esigenza di sopravvivere. svegliarmi presto, lavorare, studiare, mangiare senza appesantirmi e senza vomitare, passare tutti gli esami che devo passare, guadagnarmi i miei soldi, scansare gli sbagli. sorridere, anche quando rimango da sola. avere accanto qualcuno che ci sia, non qualcuno che mi dice ‘io ci sono’, ma qualcuno che ci sia per davvero.
ed essendo in due, e non essendo tua, allora la colpa deve essere
mia. ricordi? ‘se non sei felice è tutta colpa tua’. la scattai
pensando a te, e invece vale per me. se non sono felice è tutta colpa
mia. non tua. mia.
e intanto mi manchi, cazzo, mi manchi da morire. ma non so in che lingua urlare il tuo nome.
e poi mi manca il vecchio te. mica il nuovo.
il nuovo chi lo conosce?
e poi mi manca il vecchio te. mica il nuovo.
il nuovo chi lo conosce?
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