quando Lei arrivò, con il suo portamento sicuro e la sua vivace
femminilità, il porto era pieno di gente. gente che beveva, fumava,
parlava, con ritmi e cadenze propri della gente di mare che il mare lo
vede.
Lui, invece, che sorseggiava un mojito in braccio a una poltrona di
paglia, il mare lo sentiva. lo viveva sulla pelle. e aveva l’aria di
chi dal mare si prende ciò che vuole senza tanti complimenti, si assume
le responsabilità ma se ne frega delle conseguenze. l’aria di chi
trascina sapiente la sua vita sul filo dell’acqua.
Lei, una dama altera. nelle mani il decoro e l’armonia di chi sa
tacere. Lui, un pirata pungente. nello sguardo, terre remote e
affascinanti avventure, e l’umile fierezza di chi una volta, una sola,
si lascia incantare davvero.
un ragazzo omaggiava i tavoli col suono della sua fisarmonica.
i marinai, attorno, continuavano svagati a bere rhum.
Lei si lasciò guardare, compiaciuta della curiosità in Lui destata.
domava la sua reticenza come Lui padroneggiava il timone sul mare,
educando le onde.
Lui la guardava, a lungo, come se tutt’attorno fosse improvvisamente nebbia.
Lei considerò la possibilità e il pericolo che la bandiera issata
dai suoi occhi fosse una sagace copertura, e che prima o poi sulla
stessa asta avrebbe trovato un beffardo Jolly Roger. ma non ne ebbe
timore. ne fu anzi affascinata.
Lui non voleva essere invadente, ma non voleva lasciarla andare
senza saperne almeno il nome. ne studiava da lontano il viso d’angelo,
il sorriso vergine, le mani garbate, e ne immaginava il tocco gentile.
voleva goderne. voleva che Lei si lasciasse rapire.
nell’istante in cui si sorrisero, seppero entrambi il finale.
la condusse sotto coperta, in un veliero altrimenti impenetrabile.
dove nessuno potesse additare il peccato che si sarebbe consumato, dove
nessuno potesse condannare la loro lussuria, dove nemmeno i muri
avrebbero riconosciuto tale scandalo, e Lei forse non avrebbe sentito il
bisogno d’andare a redimersi il giorno seguente.
deposero le armi. iuta grezza e pizzo pregiato. poi, Lui ne esaminò
scrupoloso i meandri. e trovò sul suo candido corpo le più incantevoli
baie che avesse mai sondato. poteva sentire il fragore oceanico del
sangue scorrere furioso nelle vene, pulsargli nella gola, spingere giù
fino al centro del petto.
nei suoi respiri ritrovò la brezza materna che accarezzava le
insenature greche, e nei suoi movimenti più avidi le correnti oceaniche
che, ora gentili ora furiose, si scagliano contro la stiva in mare
aperto. gli spostamenti d’aria provocati dalle sue chiome disciolte
erano secchi e avvolgenti come monsoni, e portavano alle sue narici gli
aromi speziati dei balsami indiani. la sua pelle gli faceva pensare alle
immense distese di fiori di pesco, quando la primavera albeggia in
marzo e la terra dal mare sembra una parodia di nuvola rosa.
nemmeno disfatta la sua bellezza diminuiva di ardore. riposava serena sotto i suoi occhi, esalando concupiscenza.
la lasciò amaramente fuggire nel buio di una notte complice. e gli
sembrò di abbandonare l’Isola che non c’è, con tutti i suoi misteriosi
tesori, a più caparbi corsari.
[ nessun inganno sotto la pelle. ]
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