sabato 22 giugno 2013



"la lampada ad olio soffiava una luce inusuale sulle pareti. una luce liquida, soffusa, sfumata, smerigliata, perché il vetro era vecchio, consumato dal tempo e dall’usura di chissà quante notti estranee. l’avevano comprata insieme, al mercatino dei navigli, quello dell’ultima domenica del mese. tutt’e due l’avevano guardata e insieme l’avevano scelta, o forse era stata lei a scegliere loro.
‘vuoi un altro po’ di vino?’
Olivia esalò una boccata di fumo, pensando che il fumo è uno di quegli insani vizi che quando non hai ci giri attorno per entrarci e quando ci sei dentro fai di tutto per uscirne, un po’ come fanno i topi con le trappole.
‘no, grazie. sto bene così.’
‘sei pensierosa, stasera. qualcosa non va?’
un’altra boccata.
‘il mondo non va.’
una farfalla notturna che pareva di carta si adagiò sulla cresta del vetro, la testa verso la luce, affacciata come ne cercasse il fondo.
Olivia spense pigramente la cicca nel posacenere bianco.
‘ti vergogni di me.’
non rispose.
‘sì, ti vergogni di me. lo vedo come guardi in basso quando la tua famiglia ti chiede di noi, quando mi presenti ai tuoi amici, quando guardi le altre coppie… tu ti vergogni di me.’
‘io sono fiera di te.’
la lingua di Einstein assisteva alla scena dall’alto del suo grigiore, come a burlarsi dei loro discorsi.
‘e allora qual è il problema?’
Olivia raccolse le gambe, le circondò con le braccia, intrecciò le dita. sospirò. abbastanza forte. a lungo. come per spolverare le parole che stava per dire.
‘il problema è che oggi sono uscita dal lavoro, e stavo tornando a casa, e pensavo a cosa ti sarebbe andato per cena, e pensavo di farti le penne all’arrabbiata perché so che ti piacciono tanto, e che dopo le giornate pesanti come quella che hai avuto oggi ti fanno riprendere, e che tutte queste cose le so perché ormai sono quasi tre anni che viviamo insieme, e mentre ci pensavo ho visto due ragazzi, due maschi voglio dire, sulle scale della metro, che si davano un bacio sulle labbra, e una signora di quelle con la colf polacca la borsa in pelle e la fede sempre al dito li ha guardati con un’aria che non era schifata ma non era tranquilla, non saprei dire, era a disagio, non riconosceva come normale quello che stava vedendo, e io pensavo che porca puttana l’amore è l’unica cosa normale che ci sia a questo mondo, l’unica cosa libera che ci sia a questo mondo, e finchè ci sarà gente così bigotta da continuare ad imprigionarlo in un pregiudizio questo qua non sarà un bel mondo. non potrà mai essere un bel mondo.
ma ti amo. io ti amo.’
le prese la mano. si sorrisero da un angolo all’altro del sofà.
nel silenzio del salone, la farfalla compiva la sua rivoluzione attorno alla fiamma, vibrando dentro la lampada.
‘perché non la cacciamo via?’
‘perché dovremmo?’
‘ma è enorme!’
‘non ci dà fastidio. e poi porta fortuna. dicono.’
‘allora diamole un nome.’
‘Ele.’
‘come Eleonora?’
‘no. come Eleuteria. in greco significa libertà.’
‘Eleuteria. mi piace.’ sorrise.
‘andiamo a letto.’
‘andiamo a letto.’
Olivia soffiò sulla lampada ad olio. la farfalla saltò via, fece una piroetta con poca grazia, ronzò un poco. poi si posò sullo stoppino nero. e là rimase.
insieme risvoltarono il lenzuolo – faceva caldo ormai per le coperte – e si abbandonarono alla gravità. la notte era chiara, tiepida, impassibile. ed intima. come sempre.
lo schiocco di un bacio risuonò sulla sua fronte. ‘buonanotte Olivia.’
‘buonanotte Maria."



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