martedì 1 marzo 2016




_seconda parte



Lo seguo. In realtà non faccio altro che seguire qualcuno, aspettare qualcuno, da quando un aereo mi ha portato qui, da quando in piena notte ho aperto gli occhi guardando un soffitto di metallo illuminato soltanto da una lampada a pavimento.



Ci fermiamo.
Restiamo fermi ad aspettare.
Restiamo fermi, in silenzio.
Un orologio sulla parete scandisce il tempo.
Le lancette segnano le 6 del mattino.
Lui mi guarda. Io guardo l'orologio.
Quante attese ci sono state, quanti momenti segnati dal tempo. Un tempo che a volte non bastava mai, altre volte non riusciva a passare, lento, diluito tra secondi, minuti, battiti e ore.



Guardo dentro al sacchetto di cotone grigio.
(Ma ho preso davvero tutto?..)



Un uomo alto e magro, appare da una porta:
"tutto ok" dice.
"Bene" dice l'uomo con il sorriso, "andiamo".
Lo seguo.



Ci avviciniamo all'uomo alto e magro
Mi guarda. Lo guardo.
L'uomo con il sorriso mi dice "come da tue indicazioni, è qui. E' arrivato questa notte. La sta aspettando dietro questa porta."
Per un tratto, un senso di profondo disagio e malinconia mi invade totalmente. Quel senso del distacco definitivo che sta par accadere in un preciso momento.
Respiro, entro nella stanza e respiro di nuovo.
E lo trovo li. Seduto. Ad aspettare. Ad aspettarmi. Cinque sedie sparse, un distributore di caffeina, e una persona difronte a me che mi ha accompagnato per un pezzo di vita.
Sorrido, mi sorride. Sono apparentemente felice di vederli, malinconicamente felice.



Ma mi si presenta una morsa allo stomaco.



Mi avvicino a lui: .. “grazie di essere venuto..”
lui mi fa: “Frate perché cazzo ti sei vestito da carrozziere...”
Rido di gusto. “Frate.. che bello vederti....”
-“perché io?”
-”perché Tu sei Tu Frate... e perché in questo periodo era giusto che adesso ci fossi tu qui a salutarmi”
-”quindi è deciso …...”
-“è deciso.”
-“dimmi il perché....”
-“perché è giusto cosi ... è giusto così”, “di a Maria di non stare in pensiero … so che non avrebbe retto per la seconda volta questa fase – di abbandono -”
-”tranquillo. Lo farò.”
Prendo il sacchetto di cotone grigio, lo apro, estraggo la lettera: “un ultimo favore, ..dai questa a Lei, saprai dove trovarla e saprai come contattarla. Non spiegarle nulla. Lei saprà capire”
-”ci penso io Frate, non devi preoccuparti”
-”non mi preoccupo. Perché ci sei Tu.”



L'uomo con il sorriso spezza il momento : “abbiamo una precisa tempistica, adesso dovete salutarvi...”
Lo guardo.



(ronzio...)



Frate... io adesso devo andare. Sara lunga la strada da fare per me”
.... Frate... troppe cose vorrei dirti.. ma come spesso tu mi hai detto un sacco di volte, non ti dirò nulla... fai buon viaggio Fratello mio...”



Ci abbracciamo.



Ehi.. la tua vita...è ok adesso?”
...è ok.... , stai tranquillo.”
io vado......”
ok.....”



Mi volto. Non ci penso, Non respiro. Trattengo e basta.
Trattengo a me quella morsa allo stomaco che adesso è diventata voragine.
La porta dietro me si chiude. (è un arrivederci questo?)



L'aria adesso si fa meno densa percorrendo questa arteria bianca e lunga di un edificio senza inizio e senza fine (almeno così sembra) ...inizio a vedere più persone, entrare e uscire da porte, stanze, uffici, squilli di telefono, vociare.....
L'aria si fa meno densa. Adesso è diversa.



L'uomo con il sorriso si ferma. “va bene, ci siamo quasi. Adesso puoi fare alcune telefonate come concordato. Io ti aspetterò qui, entra in quella stanza. C'è un telefono. Potrai stare da solo.”
Mi dirigo nella stanza. Trovo il telefono. In verità non ho molte telefonate da fare.



Compongo il primo numero.
A chi mi risponde dall'altra parte dico di avere cura di “loro”. Anche e sopratutto da parte mia.
(respiro interrotto. Occhi lucidi)



Compongo il secondo numero.
Segreteria telefonica.
Lascio un messaggio “Porto il cappello che mi regalasti quel giorno in quel posto dove mangiammo fino a scoppiare. Mi spiace..per diverse cose.. Io non mi dimenticherò mai quello che tu hai fatto per me. Non lo farò mai. … Io sto per part” -Fine del messaggio.



Avrei voluto chiamarti, la prima volta che fosse stata anche l'ultima volta, un giorno segnai il tuo numero sul note del mio telefono... non sono riuscito più a trovarlo... e forse.. forse doveva andare così.....

esco dalla stanza.
L'uomo con il sorriso mi attende. Lo vedo in volto meno sereno adesso
dobbiamo procedere, non abbiamo molto tempo, indossa questo”, mi da un giubbotto con il cappuccio.
Una porta scorrevole si apre. Aria fresca, fredda sul mio volto.
Il ronzio questa volta è rumore vivo, progressivo nell'aria si estende e si dilata, viene da lontano ma adesso è inconfondibile.
Rumore di fondo, combustione, combustibile o qualcosa del genere.



Nel cielo c'è elettricità statica, l'avverto da dentro.



Un piccolo van bianco si ferma davanti alla porta d'uscita. Un piccolo van completamente vuoto.
Entrambi saliamo a bordo. L'uomo con il sorriso accanto al guidatore, io, dietro, completamente solo: posto-lato-finestrino. Non spegne il motore: attende, il portellone si chiude, riprende a muoversi.
Guardo fuori. Guardo le sfumature dei colori che adesso annunciano l'alba. E' l'alba.
Tempo fa l'avrei vista a piedi scalzo dietro a dei finestroni, in un posto che tantissime volte ha contemplato la mia presenza e i miei pensieri. Nella solitudine di un momento o spesso illuminato da un display che raccoglieva parole su parole. Emozioni su emozioni.
Parole su parole
emozioni su emozioni.
Molte di queste ancora me le porto dentro. Ora. Adesso.
Non smettono di chiedersi, non smettono di domandarsi. Le ragioni di tanti e troppi perché.
Sul vetro il mio respiro che appanna la vista di una strada che si unisce al chiarore del cielo.
A destra e a sinistra postazioni di controllo dati, antenne, parabole, una comunicazione costante con tutto ciò che mi circonda.



Ho bisogno della mia musica. Ho bisogno di chiudere gli occhi e mettere in play ciò che è stato in tutto questo tempo,



Parole su parole
emozioni su emozioni.
Passo dopo passo,
suono dopo suono,
brivido su brivido,
agosto dopo agosto.



Osservo attentamente ogni dettaglio che mi passa davanti rimanendo allo stesso tempo inebriato da una confusione fatta di ricordi e di stati d'animo precisi. (cambieranno).



Da lontano, alla fine, lo vedo.
Nella grandezza di uno squarcio in mezzo al cielo, irrompe in un silenzio precario..come se ad un tratto tutto dovesse diventare una grande esplosione, un grosso e immenso fermento (e così sarà).



Combustibile. Combustione. Propulsione.
Questo ronzio adesso forte e rimbombate arriva da li.
La mia destinazione. Il mezzo. Il tramite.



Rallenta e poi si ferma. Il van è arrivato alla sua destinazione.
Aria fresca di nuovo su di me, e tonalità bianco glicine nel cielo.
(quante altre sfumature ancora vedrò?)



L'uomo con il sorriso mi attende. Si avvicina a me. Mi dice: “Qui finisco io” indica col dito ciò che ho di fronte a me “da li cominci Tu. Buona fortuna e fai buon viaggio.”
Lo guardo. Non dico Nulla. Respiro.
Due persone in lontananza mi aspettano e mi fanno un cenno con la mano. Li raggiungo
Immensità. Grandezza, inizio a sentirmi dentro un senso di fortissimo disagio.
Ho Paura. (perché?)



Un ascensore. A ridosso dell'immensità che continua nel suo fermento costante.
Ci muoviamo, saliamo: Strati, piani, livelli.
Mi accolgono altre persone. Persone su persone.
Quasi chiuso in cerchio vengo preso in custodia da questo movimento di uomini e donne che sembrano tutti uguali.
Una stanza. Un'altra ancora.
E qui e tutto diverso. La vedo. Sta li. E la riconosco. (oppure, forse è più grande. Non so..)
Tutto si muove in fretta. Movimenti stretti, lineari, regolari.
Rimango con la tuta addosso e un attimo dopo inizia la vestizione.
Inizio ad indossare l'equipaggiamento per la partenza:
Casco in policarbonato, Busto, guanti, Gambe, articolazioni mobili, stivali, Contenitore per l'acqua potabile, Luci, telecamera, auricolari, modulo di indicazione e controllo, regolatore temperatura, kit elettrocardiografico, dosimetro, dispositivo per l'ossigeno, antenna, batterie ed un sistema di controllo e di allarme, per monitorare costantemente ogni parametro della strumentazione della tuta spaziale.
La tuta spaziale.
Sono pronto. (ma lo sarò per davvero?).



Mi muovo goffamente mentre tutto intorno a me diventa ovattato. Suoni ridotti.
Sento una voce parlarmi da dentro al casco. Attende delle mie risposte. Do le risposte .



Guardo in altro a destra: un grosso display segna a numeri rossi un conto alla rovescia.
Scandisce un tempo che sta per finire. Lo so. Lo sento.
Qualcuno mi indica con la mano se la respirazione va bene. Dico che è tutto ok.
Un altro mi regola una valvola applicata sul braccio sinistro. Sento uno strano odore fuoriuscire da dentro al casco. Non capisco.



Ho accanto due persone, dietro ne ho altre quattro.
La voce mi dice che tutti i parametri sono regolari e che sono pronto ad entrare nel modulo.
Mi sento stringere il guanto. Sento una leggerissima pressione. Mi guardano, mi osservano, mi sorridono.
Abbozzo un sorriso, ma non ho voglia di sorridere.
Mi sento incompiuto. (perché?)



Entro nel modulo.
Ricordo lucidamente adesso tutto ciò che devo fare.
Il posto che devo prendere, la posizione da assumere, la procedura iniziale.
Ricordo tutto.
Mi siedo. Regolo la postazione. Qualcuno viene a posizionarmi lo schienale e a bloccarmi la tuta.
Mi guardano. Li guardo. Voce nel casco.
Il ronzio adesso è diventato un frastuono che il casco attenua solo in parte. Ho fortissime emozioni che circolano nel sangue come l'adrenalina prima di un grande salto nel vuoto.



Combustibile. Combustione. Propulsione.
Luci che si illuminano. Mi fanno segno che il modulo verrà chiuso tra 5 minuti.
La voce me lo conferma.
I parametri sono stati ricontrollati. Tutto funziona alla perfezione.



Il modulo si chiude.
La voce me lo conferma.



Abbassamento programmato delle luce abitacolo.
Luci guida accese.
Ricontrollo la procedura.
Non ho dimenticato nulla. Ora lo so.



Combustibile. Combustione. Propulsione.
Sento muoversi e spingere i tre motori a razzo posizionati dietro l'orbiter
tre tonnellate e mezzo sotto di me.



Tutto è pronto.
Adesso è tutto pronto.
Lo so. Lo sento.



Ed eccomi qui.
Una vita spesa a camminare e prima correre verso ciò che ho sempre cercato..in ciò che ho sempre creduto... cadute, salite, risalite...pianti, sorrisi....emozioni profondissime.
Un viaggio. Il viaggio.
Rimpianti, rimorsi... grandissime gioie. Rifarei tutto.



avrei voluto darti di più...avrei voluto avere di più....avrei voluto che fossimo di più, io e te...quella rivoluzione dell'anima... fatta di suoni e alchimie....di purissime emozioni, tali da togliere il respiro..., avrei voluto dipingere il quadro più bello …. l'unico capace di colorarsi giorno per giorno in una realtà nostra, una vita per viversi in pieno. Continuamente.
Avrei voluto questo. L'impossibile che diventa possibile....il disordine dentro all'ordine delle cose.
Albe da guardare, tramonti da toccare....avrei voluto soltanto dividere ogni cosa insieme a Te.”



Non mi accorgo che il conto alla rovescia è appena terminato.
Un boato immenso.
Tutto vibra, tutto si muove. Mi muovo.
La pressione mi blocca il respiro. Il modulo si muove spinto dalla propulsione dei razzi.
La voce mi ripete i parametri... la voce mi parla... io non la sento. Adesso.
Non respiro. mentre i miei occhi non lacrimano. Guardano fuori il lento movimento orbitale salire e le sfumature del cielo cambiare nuovamente.
Prima chiare, ora lentamente confondersi..... l'oscurità le abbraccia totalmente adesso...
mentre fuori tutto diventa buio.
La voce mi ripete i parametri.






Una spinta più forte ancora.
Chiudo gli occhi. Non respiro.









Un forte boato ancora.






E poi... Silenzio.






Apro gli occhi: fuori lo spazio siderale, dentro: una forte emozione.



avrei voluto..........”






La voce controlla i parametri. Lo shuttle ha sganciato i propulsori, tutto è nella norma,
destinazione finale impostata. Ricontatto tra due ore e cinquantasette minuti. Passo e chiudo.






Mi guardo intorno.
Ed intorno c'è silenzio.









Ritorno a casa.






(immersione)






Ore 7:77





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