domenica 13 giugno 2010




La luce della luna
ci trovò sopra il tetto

ed Io non parlavo,
e niente che rompeva
la noia dell'attesa,

solo il suono della pioggia che cadeva.

Ed Io,
con la mano alla bottiglia,

facevo dei discorsi da pazzo
e un gallo si mise a suonare la sveglia,

per quanto la notte fosse ancora ubriaca
e Giuda fosse ancora un ragazzo.

E credo che fu in quel preciso momento
che venne da molto lontano un ricordo,

qualcosa di simile a un pianto di madri.

E due angeli vestiti di bianco
scesero con aria stupita
e il vuoto nel cuore.

E aprimmo al pianto le finestre del dolore.


Seduti nella stanza
con la bocca socchiusa,

aggrappati alle nostre sigarette,

aspettavamo l'alba senza troppo interesse,

soltanto per avere una scusa.

E Tu, perduta sul divano,
sembravi una bambina sconfitta

davi una mano contro il muro
eri troppo occupata a contare ricordi sul soffitto.


In fondo alla pianura una linea più buia,

l'esercito degli uomini diversi,
con gli occhi e la bocca pieni di sonno,

aspettava in una buca di due metri.

E noi, dall'altra parte del concetto,
con l'anima in fondo alle gavette,

cacciavamo i pensieri come mosche mortali
e il nostro cervello era bianco.


Il risveglio era fissato per le sette.





2 commenti:

  1. perché ci dobbiamo aggrappare a gli altri per vedere l`alba? Vagabondo pesantemente, con me, senza trovare una risposta. Come sempre toccante

    RispondiElimina
  2. E i Sigur che fanno da tappeto ci stanno a pennello.

    RispondiElimina

...qualsiasi parola ha sempre un valore...