lunedì 30 giugno 2014
Gate G16. (ricordati chi.)
attimi di esitazione, poi a bordo.
il solito burlone del destino mi mette vicino gli antipodi della civiltà italica: a sinistra il bauscia in viaggio di lavoro che prenota il ristorante con lo smartphone in un francese con forte cadenza milanese, a destra il calabrese in polo sporca di soppressata che emigra un’altra volta verso nord.
non mi identifico. neanche un pochino.
o forse non sono fatto per le definizioni. non mi piace incastrare qualcosa in un nome che non le appartiene.
ma so di cosa parlo quando parlo d’amore.
hai presente quando guardi scorrere fuori il paesaggio, gli alberi, il lago, e immagini quali meraviglie verranno dopo, e invece, un tonfo sordo, il tunnel, e ti ritrovi faccia a faccia con una te stessa che fluttua nel buio e nel vuoto?
domenica 29 giugno 2014
Londra non ha notte.
il sole va a dormire tardi, si sveglia presto.
è tenue ma spietato. mite e costante.
la dolcezza non dà tregua.
tutte le volte che qualcuno mi ha confessato un segreto mi sono sentito spacciato, condannato a quel nodo alla gola,
la commozione di essere importante.
qui a Londra mi sveglio sempre presto.
mi tiro su, pedalo fino alla stazione della metro. tengo la bocca chiusa perché non entrino odiosi moscerini e non escano amabili canzoni.
aspetto il treno con il caffè in mano, il capo inclinato dal peso di un pensiero.
la sua puntualità salva la mia. poi lunghe ore tra l’odore dei tessuti e i profumi della gente, i versamenti in banca e i moduli e skype e i codici a barre, il pain au chocolat appena sfornato a tutte le ore, il cielo che si spoglia e si riveste come una puttana e manco si vergogna.
la bocca mi si snoda in suoni nuovi. maledetta Babele e la sua confusione, è riuscita a farci credere che sia necessario parlare la stessa lingua per intendersi.
ogni tanto il tuo sorriso mi viene a trovare, ora in ricordo ora in sogno, e mi regala un brivido altrimenti ingiustificabile. non ho ancora avuto un giorno veramente libero perchè tutti i giorni che avevo li ho spesi al tuo fianco – di ostinazioni ce ne sono molte, ma quella dell’amore è la peggiore – e nella valigia ho messo anche quest’ansia di riempire il tempo con la vita anziché la vita col tempo, e nonostante sia vecchia dannosa e inadeguata non riesco a disfarmene, un po’ per abitudine, un po’ perché le voglio bene, sono sicuro che m’intendi.
per rientrare a casa prendo la DLR fino alla stazione. non riesco mai a prendere il primo treno. temo di non avere neanche la prontezza di riflessi di realizzare che stia passando. poi capisco, corro, ma lo perdo. restiamo sulla banchina, io e l’affanno.
la strada del ritorno è una salita.
sono io a portare la bici.
respiro più forte.
guardo le rose nei giardini altrui.
sabato 28 giugno 2014
ad
esempio un vezzo che non ho intenzione di togliermi
è quello di pensare
in diverse lingue contemporaneamente,
e comparare i diversi modi di
esprimere le emozioni.
in inglese si dice 'to break one's heart',
letteralmente 'rompere il cuore'.
gli inglesi evidentemente pensano al
cuore come qualcosa di solido e massiccio, di concreto.
noi italiani invece il cuore lo 'spezziamo'.
lo intendiamo come qualcosa di più sottile, più fragile.
buongiorno.
lunedì 2 giugno 2014
"spero di non conoscere altro amore
che quello che provo quando stai per
chiedermi qualcosa
e mi guardi fissa e resti lì,
sull’orlo delle tue
domande,
sporto sul precipizio dei tuoi forse,
per il timore di
precipitare nelle tue paure,
che tutte mi si svestono ignare davanti.
e
io muoio, muoio di tenerezza,
di passione,
di desiderio di vederle nude,
ché sotto la carezza del mio sguardo
non hanno niente da temere."
domenica 1 giugno 2014
il caffè,
una maglietta a righe,
il tuo numero su un biglietto
in una
tasca di jeans
in un cassetto,
una valigia verde,
un altro caffè,
un
altro numero,
un aperitivo,
una cravatta.
un bacio.
una pizza,
una
paura,
un silenzio,
un messaggio,
una telefonata di lavoro il giorno
degli innamorati,
ignorarsi,
incontrarsi,
rivalutarsi,
trattenersi in
una festa,
un drink,
un abitacolo sudato.
il nostro giappo,
i miei
tatuaggi,
il canale 69,
le chiavi di casa mia,
quelle di casa tua.
i
segreti,
i segnali,
le carezze,
le coperte,
le cambiali,
la birra artigianale,
il trapano e il martello,
cenare da Michele,
un telefono,
un
libro,
un bracciale,
due orecchini,
il giorno di Natale,
Bossari
(ahimé),
Sanremo,
le tue foto da ragazza,
la valigia verde,
un’isola,
un
gatto nero in casa
e una crema al profumo di cocco,
una folata di
sbagli e noi superstiti,
Caterina e il suo aeroplano,
una battaglia e
una falange in due,
il mio pugno chiuso e i tuoi capelli dentro,
Capitan
America, le maschere,
il nostro primo daccapo.
mille lumi di candela e tu che come fiamma tremi e bruci,
mentre la
strada che sapevi che avrei preso
mi si srotola davanti come un tappeto
rosso.
e vado via.
ma per restare.
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